giovedì 31 ottobre 2013

Alabastro

L’Alabastro in navigazione (g.c. Marcello Risolo/Giorgio Parodi)

Il sommergibile Alabastro era una delle moderne unità della classe Platino (712 tonnellate di dislocamento in superficie ed 865 in immersione), l’ultima evoluzione della numerosa serie “600” di sommergibili di piccola crociera. Impostato nei CRDA di Monfalcone il 12 marzo 1941 e varato il 18 dicembre dello stesso anno, era entrato in servizio per la Regia Marina il 9 maggio 1942, e dopo il normale addestramento – svolto a ritmo serrato, per rendere l’unità operativa il prima possibile – era divenuto effettivamente operativo all’inizio del settembre 1942.

Alle 17 del 13 settembre 1942 l’Alabastro lasciò Cagliari al comando del tenente di vascello Giuseppe Bonadies per la sua prima missione offensiva, per andare a rimpiazzare un altro sommergibile in agguato in un’area tra Maiorca e l’Algeria, a cavallo del 37° parallelo Nord (a sud delle Baleari). Di fatto questa si poteva considerare la sua prima vera missione di guerra: in precedenza aveva compiuto solo quattro missioni di trasferimento, percorrendo complessivamente 1554 miglia (tutte in superficie) e trascorrendo appena sei giorni in mare.
Partì da Cagliari, al tempo stesso, anche un altro sommergibile, l’Argo, che avrebbe dovuto posizionarsi un’area di agguato contigua a quella dell’Alabastro, anch’essa a sud dell’arcipelago delle Baleari. I due sommergibili da sostituire erano il Velella (gemello dell’Argo) e l’Asteria (gemello dell’Alabastro): il “passaggio di consegne” sarebbe dovuto avvenire il 15 settembre, dopo di che l’Argo e l’Alabastro avrebbero mantenuto una particolare attenzione nei confronti del naviglio proveniente da Gibilterra.
Verso le 16.10 del 14 settembre l’Argo, in navigazione in superficie all’altezza di Capo Carbon e solo un miglio (o poco più) più avanti dell’Alabastro, avvistò un idrovolante Short Sunderland in pattugliamento antisommergibile: l’Argo effettuò un’immersione rapida per evitare di essere attaccato, ma alle 16.21 sentì scoppi di bombe in lontananza. L’Alabastro non diede più notizia di sé, e non fece mai ritorno alla base.

 Tre foto (nell’ordine, in divisa da guardiamarina, sottotenente di vascello e tenente di vascello) di Giuseppe Bonadies, comandante dell’Alabastro dal 14 luglio 1942 (quando rilevò il parigrado Paolo Monechi, che ne aveva avuto il comando dal precedente 9 maggio) al giorno dell'affondamento, scomparso con il suo sommergibile e tutto il suo equipaggio (Coll. famiglia Bonadies, via Mirco Martinini)




Come nel caso di molti altri sommergibili persi con tutti i loro equipaggi, si scoprì cos’era successo all’Alabastro solo nel dopoguerra, dalle informazioni provenienti dai rapporti britannici.
Secondo una versione, il sommergibile britannico Talisman, prima di sparire a sua volta con tutto l’equipaggio (si ritenne che avesse urtato una mina), aveva comunicato di aver avvistato un U-Boot in posizione 37°48' N e 06°00' E, con rotta 250° e velocità 14 nodi. Il sommergibile segnalato dal Talisman, con ogni probabilità, era italiano ed era l’Alabastro: sulla base della comunicazione del Talisman, un idroricognitore Short Sunderland del 202nd Squadron della Royal Air Force era stato inviato da Gibilterra ad attaccare il presunto U-Boot. Va però notato che questa versione colloca la comunicazione da parte del Talisman al 15 settembre, mentre l’Alabastro fu certamente affondato il 14. Inoltre, la maggior parte delle fonti descrive l’incontro tra il Sunderland ed il sommergibile italiano come casuale, senza fare alcuna menzione di una comunicazione da parte del Talisman.
Secondo quanto riportato dalla storia ufficiale della Royal Australian Air Force, il Sunderland del 202nd Squadron pilotato dal capitano (flight lieutenant) Ernest Paul Walshe della Royal Australian Air Force, di base a Gibilterra, era stato inviato nel Mediterrane occidentale per pattugliare un’area a nordest di Algeri, da dove ultimamente erano state rilevate provenire trasmissioni radio sospette. Alle 14.30 (ora dell’aereo, probabilmente), l’idrovolante, mentre volava a 240-250 metri di quota, aveva avvistato un sommergibile grigio-verde. (Secondo quanto riportato da giornali dell’epoca, il Sunderland avvistò il sommergibile nemico a tre miglia di distanza, trovandolo in superficie, a nordovest di Algeri, in navigazione verso ovest, oppure lo vide emergere a cinque miglia di distanza, ma quest’ultima versione appare poco probabile.)
L’Alabastro (la cui identità era in quel momento sconosciuta: il pilota dell’idrovolante lo ritenne un U-Boot) non aveva tentato di immergersi per sfuggire all’attacco, mentre l’aereo si avvicinava, ma era rimasto in superficie, aprendo il fuoco con le proprie mitragliere. Il Sunderland, tuttavia, si era avvicinato al sommergibile da poppa, in modo da porsi fuori tiro rispetto al cannone situato a proravia della torretta, e, compiendo manovre per evitare di essere colpito, aveva poi aperto un preciso fuoco di soppressione con le proprie mitragliatrici: il mitragliere di prua dell’aereo, aprendo il fuoco da 270 metri di distanza, aveva ucciso i serventi della mitragliera situata nella parte posteriore torretta. Il fuoco del sommergibile, che era andato scemando quando le mitragliere di prua del Sunderland avevano aperto il fuoco, era cessato del tutto quando l’idrovolante l’aveva sorvolato e le sue mitragliere di coda, da pochissima distanza, avevano sparato una prolungata raffica nella torretta.

L’Alabastro, in secondo piano, ed il gemello Granito in allestimento nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone. (Foto tratta dal libro di Alessandro Turrini “Gli squali dell’Adriatico”, per g.c. di Marcello Risolo).

Questo aveva permesso all’aereo di sganciare con precisione le proprie bombe di profondità: a causa di un’avaria, solo quattro su sei erano state sganciate, ma Walshe aveva calcolato il momento dello sgancio con grande precisione, così che due delle bombe caddero a dritta subito a proravia della torretta, ed altre due scoppiarono accanto alla prua (secondo articoli di giornale, due delle bombe erano scoppiate nei pressi della torretta ed altre due accanto alla prua, sul lato sinistro, oppure due bombe erano cadute dritte sulla prua, ed altre due contro di essa sul lato sinistro): l’esplosione di queste ultime aveva fatto sollevare completamente la prua fuori dall’acqua. Mentre il Sunderland sorvolava il sommergibile, il mitragliere di coda aveva aperto il fuoco sui serventi del cannone di prua. Il sommergibile era diventato completamente ingovernabile, si era fermato ed era rimasto immobilizzato, mentre un fiotto di carburante zampillava dai serbatoi.
Mentre l’aereo volteggiava in cerchio sopra di esso, il sommergibile aveva iniziato ad inabissarsi lentamente, e dopo mezz’ora era affondato di prua: l’equipaggio aveva avuto il tempo di abbandonarlo, e Walshe aveva visto 40 sopravvissuti (secondo la storia ufficiale della RAAF; 36 invece secondo gli articoli dei giornali dell’epoca; in ogni caso, pressoché l’intero equipaggio, considerando che alcuni uomini dovevano essere rimasti uccisi durante l’attacco aereo), parte su canotti gonfiabili, parte che nuotavano in acqua. 

L’Alabastro in navigazione al largo di Sorrento nell’estate del 1942 (foto tratta da "Sommergibili in Guerra" di Erminio Bagnasco e Achille Rastelli, Albertelli, Parma 1994, via www.betasom.it)

L’azione si era verificata alle 16.20 del 14 settembre, a nord di Bougie (Algeria), ed il sommergibile era affondato nel punto 37°28’ N e 04°34’ E (altra fonte indica invece la posizione come 37°30’ N e 04°30’ E, a sud delle Baleari ed a cinque miglia da Algeri). L’unico sommergibile dell’Asse ad essere andato perduto in data e luogo che coincidessero con quelli indicati dal Sunderland era l’Alabastro (e ciò combaciava anche con quanto riferito dall’Argo al suo rientro alla base).
Nessuno dei 36-40 uomini visti in mare dall’idrovolante sopravvisse: tutti i 44 uomini che componevano l’equipaggio dell’Alabastro (cinque ufficiali, 13 sottufficiali e 26 tra sottocapi e marinai) risultarono dispersi.
Il capitano Walshe, per la sua azione, ricevette un telegramma di congratulazioni da parte del comandante del Coastal Command della RAF, maresciallo dell’aria Joubert, e da parte dell’Ammiragliato britannico, ed il 13 novembre 1942 venne decorato con la Distinguished Flying Cross a Buckingham Palace. L’affondamento dell’Alabastro (di cui si parlava come di un U-Boot, senza specificarne il nome, che non era noto) venne riportato da vari giornali australiani.

L’equipaggio dell’Alabastro, scomparso con il sommergibile:

Dino Ambrosini, sottocapo motorista, da La Spezia
Achille Antoci, secondo capo motorista, da Palmanova
Nicola Avanzini, marinaio silurista, da Parma
Aldo Ballerini, secondo capo radiotelegrafista, da Acqui Terme
Giovanni Barbera, guardiamarina, da Portoferraio
Pietro Biancu, sottocapo motorista, da Siniscola
Giuseppe Bonadies, tenente di vascello (comandante), da Corato
Alberto Bonucelli, capo silurista di seconda classe, da Milano
Antonio Capriotti, marinaio silurista, da Ripatransone
Luigi Cardona, marinaio elettricista, da Nizza Monferrato
Giuseppe Epifani, marinaio elettricista, da Gallipoli
Nunzio Esposito, sottotenente di vascello, da Meta
Italo Fabbri, marinaio, da Cento
Aldo Frangi, sergente elettricista, da Trequanda
Sante Gambino, sergente radiotelegrafista, da Udine
Stefano Gavazzi, sottocapo cannoniere, da Cologno Monzese
Guerriero Guerrini, secondo capo silurista, da Cortona
Giuseppe Jaoforte, guardiamarina, da Palermo
Pasquale Longo, sottocapo furiere, da Melendugno
Elvio Luccioli, capo motorista di terza classe, da Sinalunga
Emilio Maggi, marinaio silurista, da Pavia
Gennaro Maione, marinaio, da Pozzuoli
Gagliano Marson, sottocapo silurista, da Carlino
Renato Martinelli, capitano del Genio Navale (direttore di macchina), da Parma
Stefano Merati, marinaio motorista, da Cinisello Balsamo
Sergio Millo, marinaio fuochista, da Muggia
Cosimo Monaco, sergente motorista, da Brindisi
Pasquale Picchireddu, sottocapo nocchiere, da Orosei
Antonio Piccolini, marinaio elettricista, da Napoli
Donato Pisano, marinaio, da Procida
Clemente Pizzutelli, sergente segnalatore, da Frosinone
Giuseppe Quintavalle, sottocapo motorista, da Rimini
Roberto Rizzini, marinaio cannoniere, da Gardone Val Trompia
Giuseppe Rosa, sottocapo motorista, da Gimino
Michele Rutilo, sottocapo cannoniere, da Acerenza
Pietro Saglietto, sergente radiotelegrafista, da Imperia
Andrea Savo, sottocapo silurista, da Napoli
Vito Grazio Schimera, sottocapo radiotelegrafista, da Tricase
Bruno Sosna, sottocapo fuochista, da Caldonazzo
Luigi Trevisan, marinaio, da Porto Tolle
Giovanni Turco, capo di terza classe (operaio militarizzato), da Castelnuovo Don Bosco
Bruno Ventura, secondo capo elettricista, da Parma
Alfredo Vingiano, marinaio elettricista, da La Spezia
Luigi Zuccoli, sergente nocchiere, da Trieste

Ufficiali e marinai dell’Alabastro (Coll. famiglia Bonadies, via Mirco Martinini)


Sopra, il marinaio Pasquale Longo, scomparso sull’Alabastro, e sotto, un ricordo suo e del fratello Luigi, anch’egli scomparso in mare durante la seconda guerra mondiale (g.c. Rita Longo, via Mirco Martinini)


L’affondamento dell’Alabastro (di cui si parla come di un U-Boot) in un articolo del giornale australiano “Army News” del 14 ottobre 1942 (g.c. National Library of Australia/Trove). 

L’affondamento dell’Alabastro (citato erroneamente di un U-Boot) in un articolo del giornale australiano “The Argus” del 13 novembre 1942 sul conferimento della DFC al capitano Walshe (g.c. National Library of Australia/Trove).


Alla memoria del comandante Bonadies fu conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con motivazione: "Comandante di sommergibile, distintosi sin dall'inizio delle ostilità, nell'incarico di ufficiale in 2a, per le spiccate doti di professionalità ed il valoroso comportamento in difficili missioni di guerra, veniva destinato ad operare in acque particolarmente pericolose per la presenza del nemico vigile e in forze. Attaccato da aerei nemici, stroncata la sua eroica resistenza da schiacciante superiorità dell'avversario, scompariva in mare con la sua unità nel supremo adempimento del dovere. (Mediterraneo Occidentale, 14 settembre 1942)".



(Coll. famiglia Bonadies, via Mirco Martinini)





Regio Sommerginile Alabastro
Scheda dell’Alabastro sul sito dei Cantieri Riuniti dell’Adriatico
Schede dei sommergibili della classe Platino su Betasom
Pagina di Wikipedia sull’Alabastro
“Australian News”, notizia del giornale australiano “Army News” del 14 ottobre1942
The Royal Australian Air Force (RAAF) Fighting the U-Boats
Le principali azioni compiute dalla Royal Australian Air Force controsommergibili dell’Asse
“Awards for attacks on U-Boats”, notizia sul giornale australiano “The Argus”del 13 novembre 1942
“Australians Honoured”, notizia sul giornale australiano “The Sydney Morning Herald” del 13 novembre 1942

mercoledì 30 ottobre 2013

Alcione

L’Alcione (g.c. Gruppo di Cultura Navale).

Torpediniera della classe Spica, dava il nome all’ultima e più numerosa delle quattro serie in cui tale classe era divisa (Spica, Perseo, Climene ed Alcione), caratterizzate tra loro da lievi differenze in termini di dimensioni e disposizione dell’armamento.
 
Il tipo Alcione, quarta ed ultima serie della classe Spica (la prima serie era costituita da due sole unità, la Spica stessa e l’Astore, che furono i “prototipi” della classe; la seconda e la terza erano le serie Climene e Perseo, composte rispettivamente da sei ed otto unità), era caratterizzato da un dislocamento standard di 679  tonnellate (contro le 630 di Spica e Astore, le 652 delle Climene, e le 642 delle Perseo), 975 in carico normale (contro le 849 della prima serie e le 860 o 970 dei tipi Climene e Perseo), e 1050 tonnellate a pieno carico (contro le 901 della prima serie, le 1010 del tipo Climene e le 1000 del tipo Perseo). Entro il 1942, comunque, in seguito alle modifiche dell’armamento subite durante la guerra, tutte le rimanenti torpediniere classe Spica, Alcione comprese, raggiunsero un dislocamento a pieno carico di circa 1200 tonnellate. (Secondo altra fonte, le Spica tipo Alcione avrebbero avuto un dislocamento standard di 785 tonnellate, contro le 638 della serie iniziale, le 780 delle Climene e le 775 delle Perseo; ed un dislocamento a pieno carico di 1035 tonnellate, rispetto alle 885 della prima serie, le 995 del tipo Climene e le 1005 del tipo Perseo. Una fonte ancora differente fornisce i seguenti dati: dislocamento standard di 790 tonnellate per le Alcione, 797 per le Climene, 791 per le Perseo; in carico normale di 975 per la serie Alcione, 860 tonnellate per le serie Perseo e Climene; a pieno carico di 1050 tonnellate per le Alcione, 1010 per le Climene, 1020 per le Perseo. Data la forte differenza rispetto a tutte le altre fonti, però, probabilmente questi dati sono errati).
 
Ultima evoluzione della classe Spica, la serie Alcione contava ben sedici unità, la metà del totale delle navi della classe: oltre alla caposerie, ne facevano parte Airone, Aretusa, Ariel, Calipso, Circe, Calliope, Clio, Lupo, Libra, Lince, Lira, Pallade, Polluce, Partenope e Pleiadi. Le otto unità i cui nomi iniziavano per “A” e “C” furono costruite dai cantieri Ansaldo di Genova, le quattro “L” dai Cantieri del Quarnaro di Fiume, e le quattro “P” dai Bacini e Scali Napoletani di Napoli.
Le navi della serie Alcione avevano dislocamento ed autonomia leggermente superiori rispetto al tipo Perseo (1910 miglia a 15 nodi e 690 miglia a 30 nodi, con una riserva di 215 tonnellate di nafta, contro le 1892 miglia a 15 nodi e 683 miglia a 30 nodi delle Perseo, che avevano una riserva di 207 tonnellate di nafta). Altre lievi differenze tra la serie Alcione e le altre erano nella lunghezza (81,42 metri per le Alcione, 81,95 metri per le Perseo, 81,40 per le Climene, 80,35 per le prime due Spica), nella larghezza (7,92 per le Alcione, 8,20 per le altre serie) e nel pescaggio a pieno carico (3,09 per le Alcione, 3,01 metri per le Perseo, 3,05 per le Climene, 2,82 per Spica e Astore). L’armamento principale delle Alcione era costituito da tre cannoni OTO 1937 da 100/47 mm, a differenza del più datato OTO 1931 usato sulle serie precedenti, e quello contraereo da quattro mitragliere binate da 13,2/76 mm (lo stesso su tutte le unità della classe, tranne Spica ed Astore che ne avevano solo due). La maggiore differenza era nella disposizione dell’armamento silurante, costituito in tutte le serie da quattro tubi lanciasiluri da 450 mm, che presentava anzi delle differenze all’interno della stessa serie Alcione: le unità costruite a Genova e Napoli avevano due impianti lanciasiluri binati laterali, sull’asse di simmetria della nave, mentre le quattro costruite a Fiume avevano quattro impianti singoli laterali. Le serie Climene e Perseo avevano anch’esse quattro impianti singoli, mentre Astore e Spica (nonché su Climene e Centauro, che in questo differivano dal resto della loro sottoclasse) avevano un impianto binato centrale e due impianti singoli laterali.
 
A partire dal 1939 e fino al 1941 iniziò un periodo di rimodernamento e standardizzazione di tutte le unità della classe; su tutte le navi la disposizione dei tubi lanciasiluri fu modificata per rispecchiare quella, più razionale, del tipo Alcione (due impianti binati), mentre le mitragliere da 13,2 mm, rivelatesi inadeguate, vennero progressivamente sostituite con le più efficaci armi da 20/65 mm. Durante la guerra i due lanciabombe originari per bombe di profondità vennero sostituiti con due o quattro lanciabombe pirici di produzione tedesca, aventi una celerità di tiro molto superiore, e diverse unità ricevettero un ecogoniometro, di produzione italiana o tedesca. Uno dei principali punti deboli delle navi della classe Spica rimase la loro mediocre abitabilità, essendo nate come unità pensate per brevi pattugliamenti notturni ma venendo di fatto impiegate per lunghe missioni di scorta, nelle quali la ristrettezza degli spazi riservati all’equipaggio si fece sentire.
 
Breve e parziale cronologia.
 
29 ottobre 1936
Impostazione nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.
23 dicembre 1937
Varo nei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente.
10 maggio 1938
Entrata in servizio.
6-7 marzo 1939
In seguito alla notizia – giunta il mattino del 6 marzo tramite gli aerei di base nelle Baleari, che hanno avvistato e seguito le navi repubblicane – che il giorno precedente la flotta spagnola repubblicana (composta dagli incrociatori Miguel de CervantesMéndez Nuñez e Libertad, dai cacciatorpediniere UlloaEscanoGravinaAlmirante AntequeraAlmirante MirandaLepantoAlmirante Valdés e Jorge Juan e dai sommergibili C.2 e C.4) è salpata dalla sua base di Cartagena (dov’è scoppiata un’insurrezione filofranchista, scatenata dal tradimento di alcuni ufficiali dell’Esercito repubblicano che hanno tentato un colpo di Stato contro il loro governo), nella fase conclusiva della guerra civile spagnola (il conflitto terminerà di lì a meno di un mese), lo Stato Maggiore della Regia Marina, sospettando che questa possa essere diretta in Mar Nero per consegnarsi all’Unione Sovietica, organizza un vasto dispositivo di esplorazione e sorveglianza aeronavale volta a sbarrare la fuga alle navi repubblicane. All’alba del 6 marzo la X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecale, Libeccio e Scirocco; capitano di vascello Mario Rossi) viene inviata ad ispezionare le acque tra Capo Granitola, Pantelleria e la Tunisia, in cooperazione con aerei, mentre le torpediniere OrsaProcioneSpica ed Orione fanno lo stesso tra la Sardegna e le coste del Nordafrica.
Il mattino del 7 marzo prende il mare anche la Divisione Scuola Comando (ammiraglio Angelo Iachino), formata dall’Alcione, da altre quindici torpediniere classe Spica (AndromedaAntaresAldebaranAironeAriel, Altair, Aretusa, ClimeneCantoreCentauroCignoLibraLupo, Lince e Lira, appartenenti alle Squadriglie Torpediniere I, VIII, XI e XII), dall’incrociatore leggero Giovanni delle Bande Nere e dal cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, che si posiziona ad est del Canale di Sicilia e si mette alla ricerca della flotta spagnola nelle acque comprese tra la Sicilia, Malta e Tripoli. L’ordine è di localizzare le navi repubblicane e, una volta trovate, di mantenere il contatto, senza attaccare: si vuole infatti dirottare la flotta repubblicana ad Augusta, non affondarla. A questo scopo, vengono trasferite da Taranto ad Augusta la I Divisione Navale dell’ammiraglio Ettore Sportiello (incrociatori pesanti ZaraPolaFiume e Gorizia più i cacciatorpediniere Vittorio AlfieriAlfredo OrianiVincenzo Gioberti e Giosuè Carducci della IX Squadriglia) e da Taranto a Messina la V Divisione Navale, composta dalle corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour e dalla VII Squadriglia Cacciatorpediniere (FrecciaDardoSaettaStrale). A Messina il comandante della 1a Squadra Navale, ammiraglio Arturo Riccardi, assume la direzione delle operazioni; l’ordine è di ricorrere alle armi soltanto se le navi repubblicane opporranno resistenza.
In realtà, tuttavia, la flotta repubblicana non ha nessuna intenzione di andare in Unione Sovietica. La loro destinazione è il Nordafrica francese: lasciata Cartagena, dapprima le navi repubblicane si presentano davanti ad Orano, in Algeria, dove l’ammiraglio Miguel Buiza Fernández-Palacios, comandante della flotta repubblicana, chiede alle autorità francesi il permesso di entrare in porto e farvisi internare; queste ultime, tuttavia, respingono la richiesta e dicono a Buiza di raggiungere Biserta, in Tunisia. Qui le navi spagnole – sempre pedinate dagli aerei italiani durante il loro trasferimento – possono finalmente entrare; le autorità francesi provvedono immediatamente a sequestrarle, sbarcandone gli equipaggi ed internandoli in un campo di concentramento vicino a Maknassy. Quando il Comando della Regia Marina viene a sapere, lo stesso 7 marzo, che la flotta repubblicana è entrata a Biserta e che il locale Comando navale francese l’ha fatta disarmare, le misure messe in atto per intercettare la flotta repubblicana vengono annullate, non essendo più necessarie. Tre settimane più tardi le navi repubblicane, prese in consegna da equipaggi franchisti, saranno consegnate alla Marina nazionalista spagnola, mentre parte degli equipaggi repubblicani sceglieranno l’esilio in terra francese.
7-9 aprile 1939
L’Alcione, inquadrata nel IV Gruppo Navale dell’ammiraglio di divisione Oscar Di Giamberardino, partecipa all’occupazione di Santi Quaranta durante le operazioni per l’invasione dell’Albania (Operazione "Oltre Mare Tirana", OMT).
Il IV Gruppo Navale, oltre all’Alcione, comprende le sue gemelle AironeAriel ed Aretusa, gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (aventi a bordo 600 uomini del Regio Esercito), i cacciatorpediniere Freccia e Baleno (che hanno a bordo 160 uomini del Battaglione "San Marco"), le navi cisterna e da sbarco Scrivia e Sesia, la nave cisterna Garda, il trasporto militare Asmara (con a bordo 800 uomini del Regio Esercito) e la motonave requisita Marin Sanudo (con a bordo 54 carri armati nonché materiale militare). La colonna che deve sbarcare a Santi Quaranta, al comando del colonnello Mario Carasi, è composta dal XX Battaglione Bersaglieri (3° Reggimento Bersaglieri), dal XXIII Battaglione Bersaglieri (12° Reggimento Bersaglieri), dal III Gruppo Squadroni Carri Veloci L3/35 "San Giorgio" e da due compagnie del Battaglione "San Marco".
Lo sbarco a Santi Quaranta ha inizio alle 6.30 circa; non vi è alcuna sorpresa, tanto che la popolazione locale lascia la cittadina prima ancora che lo sbarco abbia inizio. I marinai italiani vengono accolti da "nutrito" fuoco di fucileria, soprattutto da parte di reparti della gendarmeria, ma con l’aiuto determinante del tiro di supporto delle navi da guerra, Alcione compresa, le truppe da sbarco superano in breve questa resistenza. Freccia e Baleno sbarcano gli uomini del "San Marco" sotto la protezione degli incrociatori; i fanti di Marina, che prendono terra con la prima ondata, hanno un ruolo centrale nel travolgere la (debole) resistenza albanese (alcune stime da parte italiana ritengono che in tutto Santi Quaranta sia difesa da circa 200 armati). Alcuni civili armati aprono il fuoco verso le truppe italiane, ma rientrano nelle loro case dopo che uno degli incrociatori ha sparato qualche cannonata nella loro direzione.
Dopo alcune scaramucce con gli uomini del "San Marco", le poche truppe albanesi si ritirano, e Santi Quaranta passa in mano italiana. Alle 7.30, un’ora dopo l’inizio dello sbarco, ogni resistenza è cessata. Da qui la colonna del colonnello Carasi punterà poi su Delvino e Argirocastro.
11 aprile 1939
Alcione ed Airone vengono inviate al largo di Himara (Albania), che risulterebbe essere minacciata da "bande armate".

L’Alcione a Taranto nel 1939 (da “Le torpediniere italiane 1881-1964” dell’USMM, via Marcello Risolo e www.naviearmatori.net)

8 giugno 1940
Alcione ed Aretusa posano un campo minato (50 mine) al largo di Capo Granitola. Il giorno seguente il piccolo piroscafo Angiulin, partito da Licata e diretto a Napoli, finirà accidentalmente su questo campo minato (o su un altro posato in prossimità dall’Airone e dall’Ariel), affondando con tutto l’equipaggio.
In serata l’Alcione (tenente di vascello Giuseppe Folli) salpa da Trapani scortando il posamine Buccari (tenente di vascello Nocca), incaricato della posa dello di un altro campo minato nel Canale di Sicilia. Contemporaneamente escono da Trapani anche il posamine ausiliario Scilla (traghetto ferroviario requisito, al comando del capitano di fregata Mario Menini) e la torpediniera Altair (capitano di fregata Adone Del Cima) per eseguire la posa di un altro sbarramento. La posa viene effettuata nella notte.
10 giugno 1940
All’entrata in guerra dell’Italia, l’Alcione (al comando del tenente di vascello Giuseppe Folli, 31 anni, da Bologna) fa parte della I Squadriglia Torpediniere, di base a Messina, che forma insieme alle gemelle Airone (caposquadriglia), Ariel ed Aretusa.
Insieme alla XII Squadriglia (AltairAntaresAndromedaAldebaran), la I Squadriglia forma la 2a Flottiglia Torpediniere, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Sicilia; la 1a e la 2a Flottiglia Torpediniere (la 1a Flottiglia è formata dalle Squadriglie Torpediniere XIII e XIV, anch’esse composte da navi classe Spica), insieme alla V Squadriglia Torpediniere (vecchie unità del tipo “tre pipe”), alla II Flottiglia MAS ed ai posamine AdriaticoScillaBuccari e Brioni, nonché alle forze aeree dell’Aviazione della Sicilia, costituiscono il «dispositivo» del Canale di Sicilia, il cui compito è di ostacolare alle forze navali nemiche il transito nel Canale di Sicilia, passaggio di importanza strategica cruciale per il controllo del Mediterraneo. Tale dispositivo prevede continua vigilanza aerea diurna e, su alcune rotte, anche notturna; posti di vedetta e di ascolto idrofonico a Capo Granitola, Pantelleria, Linosa e Lampedusa; agguati di sommergibili; crociere di torpediniere ed altre siluranti (preferibilmente notturne ed in aree non interferenti con quelle dei sommergibili); posa di campi minati offensivi e difensivi; attacchi aerei contro unità nemiche avvistate in mare. La 2a Flottiglia Torpediniere ha base a Trapani, la 1a a Porto Empedocle.
6 giugno-10 luglio 1940
L’Alcione, insieme alle gemelle AndromedaAirone, Ariel ed Aretusa ed al posamine ausiliario Adriatico, partecipa alla posa di numerosi campi minati nelle acque della Sicilia: due sbarramenti antinave ed uno antisommergibile, tutti di 45 mine tipo Elia o tipo Bollo, a nord di Trapani; uno antinave di 50 mine e due antisommergibili (uno di 45 mine e l’altro di 50) tra Marettimo e Levanzo; e due sbarramenti antisom di 50 mine ciascuno tra Marettimo e Favignana, tutti con mine tipo Elia o tipo Bollo.
Insieme ad Airone, Ariel, Aretusa ed alle gemelle Pallade, Calliope, Circe e Clio, l’Alcione partecipa inoltre alla posa di quattro sbarramenti antinave di 50 mine ciascuno tra Marsala e Capo Granitola.
In base alle disposizioni emanate dal Comando Militare Marittimo della Sicilia il 26 maggio 1940, gli sbarramenti offensivi vengono posati di notte, quelli difensivi alle prime luci del giorno; le torpediniere effettuano la posa per sezioni (due unità).
3-4 luglio 1940
Durante la notte l’Alcione (tenente di vascello Luigi Bonatti) e la gemella Aretusa (tenente di vascello Mario Castelli della Vinca), salpate da Trapani, scortano il posamine Buccari, incaricato di posare il campo minato antinave 3 AN bis (240 mine tipo Elia) tra la Sicilia e Pantelleria, uno degli sbarramenti previsti nell’ambito del «dispositivo» del Canale di Sicilia. Nonostante le non eccelse condizioni del mare (forte vento ed alte onde che sballottano le navi), l’operazione viene condotta a termine senza intoppi, grazie alla perizia degli equipaggi.
30 luglio 1940
In mattinata Alcione, AironeAriel ed Aretusa (la I Squadriglia Torpediniere) salpano da Messina scortando un convoglio diretto a Tripoli e formato dai trasporti truppe Marco PoloCittà di Palermo e Città di Napoli, nell’ambito dell’operazione «Trasporto Veloce Lento» (T.V.L.).
L’operazione T.V.L. è la prima grande operazione di traffico per il trasporto in Libia di truppe e materiali del Regio Esercito e della Regia Aeronautica: essa prevede tre convogli, due da Napoli a Tripoli (n. 1, lento, e n. 2, veloce: quest’ultimo è quello scortato da Aretusa e gemelle) ed uno da Trapani a Tripoli (n. 3, piroscafi Caffaro e Bosforo, scortati dalle torpediniere VegaPerseoGenerale Antonino Cascino e Generale Achille Papa).
A protezione di questo e di un secondo convoglio diretto a Tripoli (quello lento, che procede a 7,5 nodi: piroscafi Maria EugeniaGloria Stella e Caffaro, motonavi MaulyCol di Lana e Città di Bari, torpediniere ProcioneOrsaOrione e Pegaso) sono in mare, dal 30 luglio al 1° agosto, gli incrociatori pesanti Pola (comandante superiore in mare, ammiraglio di squadra Riccardo Paladini), TrentoZaraFiume e Gorizia (questi ultimi tre formano la I Divisione), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano della IV Divisione e Luigi di Savoia Duca degli AbruzziEugenio di SavoiaRaimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo della VII Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (AlfieriOrianiGiobertiCarducci), XII (LanciereCorazziereCarabiniereAlpino), XIII (GranatiereBersagliereFuciliereAscari) e XV (PigafettaMalocelloZeno).
Vengono inoltre inviati in agguato 23 sommergibili, tra Mediterraneo Orientale e Mediterraneo Occidentale, e sono disposte frequenti e specifiche ricognizioni con velivoli della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea.
Il convoglio veloce, formato da Marco PoloCittà di Palermo e Città di Napoli, è originariamente salpato da Napoli alle 00.30 del 29 luglio, con la scorta della XIII Squadriglia Torpediniere (CirceClioClimene e Centauro); ma poche ore dopo, a seguito dell’avvistamento di notevoli forze navali britanniche uscite in mare sia da Alessandria (il grosso della Mediterranean Fleet) che da Gibilterra (l’incrociatore da battaglia Hood, le corazzate Valiant e Resolution e le portaerei Argus ed Ark Royal), i due convogli dell’operazione T.V.L. hanno ricevuto ordine da Supermarina di rifugiarsi immediatamente nei porti della Sicilia. Il convoglio veloce è giunto a Messina alle 13.30 del 29, e vi ha sostato fino al 30 (per altra versione, fino al 31); passata la minaccia, è ripartito per la Libia, ma scortato ora dalla I Squadriglia Torpediniere anziché dalla XIII.
31 luglio 1940
Il convoglio scortato dalla squadriglia «Airone» naviga a 16 nodi; dopo il dirottamento su Messina, Supermarina decide di cambiarne la destinazione, ordinandogli alle 2.30 di dirigere a Bengasi, anziché a Tripoli.
Nel primo tratto di navigazione tra la Sicilia e la Libia la scorta viene rinforzata con la XII Squadriglia Cacciatorpediniere «Lanciere», che poi torna a far parte della forza di scorta indiretta; la porzione di scorta indiretta assegnata alla difesa del convoglio veloce (PolaTrento, I e VII Divisione), portatasi in posizione tale da proteggerlo da navi nemiche provenienti da est, invertirà la rotta in serata per tornare alle basi, essendo ormai cessato ogni rischio.
Il convoglio giunge indenne a Bengasi alle 24.
2 agosto 1940
Alcione, Airone (caposcorta), Altair ed Aretusa lasciano Bengasi alle 20.30, per scortare a Tripoli Città di Palermo e Città di Napoli.
3 agosto 1940
Il convoglietto giunge a Tripoli alle 21.30.
4 agosto 1940
Alcione, Airone (caposcorta), Altair ed Aretusa lasciano Tripoli alle 20 per scortare di nuovo a Bengasi Città di PalermoCittà di Napoli e Marco Polo.
6 agosto 1940
Le navi giungono a Bengasi alle 7.
7 agosto 1940
Alcione, Airone (caposcorta), Altair ed Aretusa ripartono da Bengasi alle otto per scortare nuovamente a Tripoli Città di PalermoCittà di Napoli e Marco Polo.
8 agosto 1940
Le navi arrivano a Tripoli alle 7.
16 agosto 1940
Durante la notte, l’Alcione ed il resto della I Squadriglia Torpediniere (AironeAriel ed Aretusa), insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco), vanno a rinforzare la IV Squadriglia Torpediniere (ProcioneOrsaOrione e Pegaso) nella scorta di Città di PalermoCittà di Napoli e Marco Polo, che hanno lasciato Tripoli alle 8.30 per rientrare in Italia.
18 agosto 1940
Il convoglio arriva a Palermo alle tre, poi prosegue per Napoli.
19 agosto 1940
Il convoglio giunge a Napoli alle 19.
6 agosto 1940
Le navi giungono a Bengasi alle 7.
7 agosto 1940
Alcione, Airone (caposcorta), Altair ed Aretusa ripartono da Bengasi alle otto per scortare nuovamente a Tripoli Città di PalermoCittà di Napoli e Marco Polo.
8 agosto 1940
Le navi arrivano a Tripoli alle 7.
16 agosto 1940
Durante la notte, l’Alcione ed il resto della I Squadriglia Torpediniere (AironeAriel ed Aretusa), insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere (MaestraleGrecaleLibeccio e Scirocco), vanno a rinforzare la IV Squadriglia Torpediniere (ProcioneOrsaOrione e Pegaso) nella scorta di Città di PalermoCittà di Napoli e Marco Polo, che hanno lasciato Tripoli alle 8.30 per rientrare in Italia.
18 agosto 1940
Il convoglio arriva a Palermo alle tre, poi prosegue per Napoli.
19 agosto 1940
Il convoglio giunge a Napoli alle 19.
2 settembre 1940
Il tenente di vascello Folli lascia il comando dell’Alcione, venendo avvicendato dal parigrado Luigi Bonatti, 30 anni, da Firenze.
5 settembre 1940
L’Alcione (tenente di vascello Luigi Bonatti) e le gemelle Ariel (tenente di vascello Mario Ruta), Altair (caposquadriglia, capitano di fregata Adone Del Cima) ed Aretusa (tenente di vascello Mario Castelli della Vinca) salpano da Augusta alle 18.40 per effettuare la posa del primo sbarramento di mine offensivo (per la precisione, due sbarramenti da posarsi contemporaneamente: «M 1» e «M 2 ») al largo di Malta, pensato per ostacolare l’invio di convogli di rifornimento all’isola. Ognuna delle torpediniere ha a bordo 28 mine tipo E 1.
Ariel ed Altair formano la prima sezione, Alcione ed Aretusa la seconda. Una volta in franchia delle ostruzioni, le quattro torpediniere si dispongono in linea di fila e dirigono dapprima per il vertice del settore di avvicinamento di Capo Passero e poi (a 23 nodi) verso il punto prestabilito «E», dove giungono alle 21.17; qui riducono la velocità a 16 nodi e dirigono verso il punto prestabilito «F», dove arrivano alle 23.04. Qui il caposquadriglia Del Cima distacca Alcione ed Aretusa per eseguire la posa della loro parte di campo minato (nella zona indicata come «M 1»), mentre Altair ed Ariel proseguono senza cambiare rotta e velocità verso il punto prestabilito «Alfa 1» della zona designata «M 2» (lunga nove miglia e larga 3, a sudest di Malta).
Aretusa ed Alcione, ricevuto l’ordine di Del Cima, accostano subito a dritta e dirigono verso il punto «Alfa» della zona «M 1». Alle 23.42, in direzione di Malta (a dritta delle navi), si accende un fascio di proiettore di cui non si vede la sorgente, diretto verso Alcione ed Aretusa (che in quel momento si trovano nel punto 36°04’ N e 14°45,5’ E, a circa un miglio dal punto «Alfa» di separazione), cui alle 23.57 se ne aggiunge un altro nella medesima direzione ed alle 24 un terzo puntato invece verso Altair ed Ariel. I proiettori, che sembrano molto potenti, cercano insistentemente nella direzione delle torpediniere, muovendosi a tratti con lentezza ed a tratti con rapidità, ma soffermandosi solo per pochi minuti nella loro direzione; si spegneranno solo alle 00.31. Il caposquadriglia Del Cima annoterà poi nel rapporto che dal rilevamento delle sorgenti luminose, condotto dalle posizioni delle navi, risulterebbe che i proiettori si trovino a Ras el Kreiten, a nord della baia di San Giuliano e sull’altura vicino a Punta Tal Zonkor; inoltre, la prontezza ed accuratezza mostrata nella manovra dei fasci dei proiettori fa ritenere a Del Cima che il loro puntamento sia guidato da dati forniti da stazioni aerofoniche. Il proiettore più a sud dei tre sembra avere potenza maggiore degli altri, tanto che riesce ad illuminare con la luce riflessa l’intero spazio di mare in cui si trovano tutte e quattro le torpediniere, divise in due sezioni ormai piuttosto distanti tra loro.
6 settembre 1940
Alle 00.20 Alcione ed Aretusa avvistano per poco tempo, sul fascio di un proiettore, un piccolo scafo che procede con rotta parallela alla costa, a circa 10-12 km di distanza.
Giunte nel punto prestabilito, le due torpediniere danno inizio alla posa; le mine vengono posate a grappoli, con rotte varie e serpeggianti. La profondità delle mine è di quattro metri, la distanza tra ciascun grappolo non è minore di 700 metri, e quella delle singole mine di ogni grappolo è di 60-80 metri. Essendo le torpediniere prive di solcometro, per misurare il percorso compiuto si contano i giri delle eliche rilevati dal contatore continuo, pratica già da tempo adottata dalle navi della 2a Flottiglia Torpediniere e che ancora una volta ha dimostrato la sua efficacia. Grazie anche a mare e vento calmi ed all’eccellente visibilità (che permette di vedere la costa dell’isola per quasi tutta la durata dell’operazione ed anche di osservare l’affondamento delle mine nelle sue diverse fasi, constatando che esso avviene regolarmente), l’operazione si svolge senza intoppi.
Tutte le torpediniere, terminata la posa, dirigono separatamente verso Augusta, seguendo rotte decise dal caposquadriglia con il criterio – come disposto da Marina Messina – di evitare reciproci avvistamenti fino all’alba. Alcione ed Aretusa precedono le altre due unità ad Augusta.
Con gli sbarramenti «M 1» e «M 2» sono state complessivamente posate 112 mine a nordest («M 1») e sudest («M 2») di Malta. Il caposquadriglia Del Cima scriverà a conclusione del rapporto, relativamente alla condotta del personale: «Tutto il personale si è comportato molto bene. Le operazioni di posa sono state compiute con precisione cronometrica e tranquillità, in ambiente di sereno entusiasmo cui ha fatto poi seguito un giustificato disappunto per il mancato contatto col nemico, da molto tempo e più volte invano cercato ed atteso (…)». Il comandante Bonatti riceverà la Croce di Guerra al Valor Militare, con motivazione "Comandante di torpediniera, preparava ed eseguiva con perizia e sereno ardimento una delicata ed importante missione, in prossimità di una munita base nemica, dimostrando elevata capacità, noncuranza del pericolo e superbe doti militari".
10 ottobre 1940
L’Alcione partecipa, insieme all’Airone e ad idrovolanti dell’89a Squadriglia (altra fonte parla della 185a Squadriglia) della Regia Aeronautica, ad un’azione antisommergibili al largo di Siracusa cui alcune fonti attribuiscono l’affondamento del sommergibile britannico Triad. Il Triad, tuttavia, in realtà venne quasi certamente affondato solo cinque giorni dopo (nella notte tra il 14 ed il 15 ottobre) dal sommergibile Enrico Toti.
11 ottobre 1940
Tra le 20 e le 20.30 l’Alcione (tenente di vascello Luigi Bonatti) salpa da Augusta insieme ad Airone (capitano di corvetta Alberto Banfi, caposquadriglia) ed Ariel (tenente di vascello Mario Ruta), che con essa formano la I Squadriglia Torpediniere, ed ai cacciatorpediniere della XI Squadriglia Cacciatorpediniere (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera). Entrambe le squadriglie hanno l’ordine di svolgere una ricerca a rastrello ad est di Malta, dove si ritiene che vi possano essere navi britanniche.
L’ordine è stato dato dopo che, alle 8.45 dell’11 ottobre, un aereo di linea italiano ha avvistato 20 unità britanniche (15 navi da guerra e 5 di tipo imprecisato) con rotta 220° (ma all’arrivo dell’aereo hanno virato di 90° a dritta) in posizione 35°20’ N e 15°40’ O, a 65 miglia per 115° da (ad est-sudest di) Malta. Supermarina, informata da Superaereo un’ora più tardi, non è in grado di fare uscire in mare le forze navali maggiori prima del giorno seguente, pertanto ha ordinato al Comando Militare Marittimo della Sicilia (ammiraglio di divisione Pietro Barone, con sede a Messina) di organizzare una ricerca offensiva notturna con l’utilizzo di aerei per la ricognizione e di unità sottili (cacciatorpediniere, torpediniere e MAS) per la ricerca del contatto e l’eventuale attacco. Sono state quindi disposte ricognizioni con aerei, l’invio dei MAS 512513 e 517 in agguato notturno al largo della Valletta, l’approntamento in tre ore delle due squadre navali, la messa in allarme delle difese di Taranto, della Sicilia e della Libia, e l’interruzione del traffico tra Italia e Libia; inoltre si è deliberato di inviare numerose siluranti a verificare la presenza di navi nemiche e, in caso affermativo, ad attaccare col favore della notte (oltre alla I Squadriglia Torpediniere ed alla XI Squadriglia Cacciatorpediniere, deve prendere il mare anche la VII Squadriglia Cacciatorpediniere – FrecciaDardoSaetta e Strale –, ma cercando sulla congiungente Marettimo-Zembra, dove il passaggio è meno probabile). Entro ventiquattr’ore sarebbe possibile fare uscire le forze da battaglia da Taranto, Augusta e Messina, per appoggiare l’azione notturna delle siluranti, o sfruttarne gli eventuali risultati positivi.
A trovarsi in mare è l’intera Mediterranean Fleet, con le corazzate ValiantWarspiteRamillies e Malaya, le portaerei Eagle ed Illustrious, l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri AjaxOrionSydneyLiverpool e Gloucester ed i cacciatorpediniere Havock, Hasty, HyperionHeroHerewardIlexJervisJanusJunoDaintyDefenderDecoyNubianVampire e Vendetta: tale poderosa formazione è uscita in mare l’8 ottobre per dare scorta a distanza al convoglio «M.F. 3» diretto a Malta, ed ora, dopo che i mercantili sono giunti a destinazione l’11 ottobre, attende di assumere la scorta di tre piroscafi scarichi (AphisPlumleaf e Volo, del convoglio «M.F. 4») di ritorno ad Alessandria d’Egitto.
L’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, ha creato a nord del grosso della flotta uno ‘schermo’ di incrociatori e cacciatorpediniere, con compiti di ricognizione, l’ultimo dei quali (il più a nord) è l’incrociatore leggero Ajax, al comando del capitano di vascello Edward Desmond Bewley McCarthy, il quale avanza a 17 nodi procedendo a zig zag, una settantina di miglia a nord del grosso della Mediterranean Fleet ed ad altrettante miglia da Malta. Le altre unità dello schermo sono l’incrociatore pesante York, gli incrociatori leggeri Orion e Sydney (che con l’Ajax formano il 7th Cruiser Squadron) ed i cacciatorpediniere Nubian e Mohawk; le navi procedono in linea di rilevamento, a notevole distanza l’una dall’altra.
I primi ricognitori italiani, degli idrovolanti CANT Z. 501 delle Squadriglie 144a (di base a Stagnone), 184a, 186a (di base entrambe ad Augusta) e 189a (di base a Siracusa) della Regia Aeronautica, decollano nel primo pomeriggio dell’11 ottobre, quando il cielo – fino ad allora coperto dalle nuvole, con scariche elettriche, forti raffiche di vento e visibilità molto limitata, a causa di una perturbazione sul Mediterraneo centrale iniziata il 9 ottobre – inizia a rasserenarsi, permettendo un progressivo miglioramento della visibilità. Il CANT Z. 501 decollato per primo da Stagnone esplora il settore più occidentale (tra il meridiano di Capo Bon ed il 13° meridiano) ma non trova nulla; altri due idrovolanti sono decollati da Augusta sempre nel primo pomeriggio dell’11 e conducono una ricerca (distanziati di 30 miglia e con percorsi paralleli ed opposti) che va da Malta al meridiano 22° E, ma di nuovo senza risultati; un quarto CANT Z. 501, decollato da Siracusa ed assegnato all’esplorazione di un settore a sud ed ad est di Malta, non vede nulla.
Le sette unità della I Squadriglia Torpediniere e della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, giunte a mezzanotte dell’11 ottobre sul meridiano 16°40’ E (a circa cento miglia da Malta), si irradiano sul rastrello con base 28 miglia, disponendosi, da nord verso sud, nell’ordine AlcioneAironeArielGeniereAviereArtigliere e Camicia Nera, procedendo affiancate ad una distanza di circa quattro miglia l’una dall’altra, con un intervallo di otto miglia tra la I Squadriglia Torpediniere (più a nord) e la XI Squadriglia Cacciatorpediniere (più a sud). Questa disposizione – “rastrello a maglie larghe” – dovrebbe massimizzare le probabilità di avvistare il nemico di notte, essendo in grado di “rastrellare” un braccio di mare largo 32 miglia, grosso modo compreso tra 35°25’ N e 35°45’ N.
12 ottobre 1940
All’una di notte, terminato il posizionamento sul rastrello, le sette siluranti iniziano la ricerca, procedendo in linea di rilevamento a 12 nodi con rotta 270° e direttrice della ricerca da est verso ovest. L’eccezionale visibilità (grazie alla luce lunare da sudovest, che rende molto luminoso tale settore, verso il quale si sviluppa la ricerca) e la direttrice dovrebbero consentire alle navi italiane (specie le torpediniere, le navi più a nord del dispositivo di ricerca italiano) di avvistare le unità nemiche nei loro settori prodieri prima di essere viste a loro volta. La ricerca del nemico si svolge a sud del parallelo di Malta, nella fascia compresa tra i paralleli 35°54’ N e 35°25’ N a partire dal meridiano 16°40’ E.
Nel mentre, la Mediterranean Fleet procede con rotta 90° (opposta a quella delle navi italiane) e dodici nodi di velocità, circa 50 miglia a sudest di Malta; la linea protettiva degli incrociatori è disposta in linea di rilevamento a nordest del grosso della squadra britannica, con l’Ajax posizionato esternamente verso nord. Ancora più a nord si trovano i tre mercantili del convoglio salpato da Malta alle 22.30, diretti verso est e scortati dagli incrociatori antiaerei Coventry e Calcutta e dai cacciatorpediniere StuartVoyagerWryneck e Waterhen.
Il tempo è migliorato, con vento e mare da sudest forza 2-3 in diminuzione e cielo sereno. La luna, rispetto alla posizione delle unità italiane, si trova alle spalle delle navi britanniche, il che dovrebbe agevolare il loro avvistamento.
Mancano quattro giorni alla luna piena, il che garantisce una visibilità notturna eccezionale, specialmente verso sudovest (il settore illuminato dalla luna, e proprio quello verso il quale si svilupperà il successivo combattimento); la luna dovrebbe tramontare verso ovest-sudovest intorno alle 3.30. Cannonieri e siluristi aspettano accanto alle loro armi: è circolata la notizia dell’avvistamento di forze nemiche di entità superiore, ma si fa affidamento nella sorpresa e nell’impiego dei siluri.
All’1.37 l’Alcione, che gode delle condizioni di luce migliori tra le navi della I Squadriglia, è la prima nave italiana ad avvistare – a circa 18.000 metri, 40° a sinistra della prua – la sagoma di una nave nemica che procede su rotta opposta, verso est: si tratta dell’Ajax (capitano di vascello Edward Desmond Bewley McCarthy), che naviga a zig zag ad una velocità di 17 nodi. In quel momento le navi si trovano circa 110 o 125 miglia a levante di Malta, una settantina di miglia a nord del convoglio ed a nordest del grosso della flotta britannica. Subito l’Alcione provvede a lanciare il segnale di scoperta per radiosegnalatore (messaggio ricevuto sull’Airone all’1.48), identificando correttamente la nave incontrata come un “incrociatore tipo Orion”. L’Airone, a differenza dell’Alcione, non ha la luna esattamente di fronte, così le sue vedette avvistarono l’Ajax cinque minuti più tardi, all’1.42, da una distanza di circa 14.000 metri. All’1.48 il caposquadriglia Banfi dirama a tutte le unità l’ordine di eseguire un attacco silurante simultaneo.
Abbandonato il rastrello, le tre navi della I Squadriglia Torpediniera danno inizio alla manovra d’attacco: messa la prua sull’incrociatore, convergono sul bersaglio da nordest, est e sudest a 19 nodi di velocità, agendo singolarmente per imitazione di manovra. Per avvicinarsi al nemico, l’Alcione accosta verso sudovest, l’Ariel verso nordovest, mentre l’Airone prosegue per la sua rotta. Avvicinatesi all’Ajax (una di fronte ad esso e le altre due ai lati dell’incrociatore, manovra d’attacco poi giudicata «ben eseguita») senza essere state avvistate – l’incrociatore è dotato di un radar (è stata anzi la prima nave dotata di radar ad entrare a far parte della Mediterranean Fleet), ma è un apparato progettato per rilevare gli aerei, non le navi –, le torpediniere serrano le distanze, cercano di ottenere dei beta adatti al lancio e poi lanciano i loro siluri, quasi contemporaneamente: Alcione ed Airone da sinistra, l’Ariel da dritta.
L’Alcione lancia due siluri da 1800 metri all’1.57, più o meno simultaneamente all’Airone (che ne lancia anch’essa due, da duemila metri di distanza, per poi lanciarne altri due da soli 900 metri all’1.58), mentre l’Ariel, attaccando da proravia dritta rispetto all’Ajax, lancia un unico siluro. Intenzione del comandante Bonatti dell’Alcione sarebbe di lanciare altri due siluri in aggiunta ai primi due, ma la contromanovra dell’Ajax (che inverte la rotta), determinata dall’attacco intanto compiuto dall’Airone, vanifica questo proposito, impedendole di portarsi in posizione idonea per un secondo lancio. (Secondo lo storico Franco Prosperini, l’Alcione avrebbe lanciato in ritardo perché per breve tempo l’Ajax venne “mascherato” dall’Airone).
Nessuno dei sette siluri lanciati dalle torpediniere, pur provenendo da tre angolazioni diverse, va a segno: probabilmente i rispettivi comandanti hanno sovrastimato la velocità dell’Ajax, o ne hanno calcolato male la rotta (o entrambe le cose). Ma soprattutto all’1.55, poco prima del lancio dei siluri da parte delle torpediniere, le vedette dell’incrociatore hanno avvistato le sagome di due navi a proravia, una a dritta e l’altra a sinistra, a circa 3000 metri di distanza: si tratta, rispettivamente, dell’Ariel e dell’Airone (per altra fonte, invece, l’Ajax avrebbe avvistato la sagoma dell’Alcione). Il comandante McCarthy, incerto circa l’identità dei nuovi arrivati, ha effettuato il segnale di riconoscimento: non avendo ottenuto risposta dalle navi sconosciute (per altra fonte, avendo ricevuto risposta errata; ma non risulta che alcuna delle navi italiane abbia risposto al segnale di riconoscimento dell’Ajax, che invece non è neanche menzionato dalle fonti italiane), ha ordinato di mettere le macchine a tutta forza e compiuto ripetute accostate, il che ha contribuito a vanificare i lanci.
La manovra di avvicinamento ed attacco delle torpediniere è stata ben eseguita, ma ha contribuito a frustrarla, oltre alla contromanovra dell’Ajax, anche la disposizione dei tubi lanciasiluri sulle unità del tipo Alcione della classe Spica: sebbene siano armate con quattro tubi lanciasiluri ciascuna, soltanto due per lato possono essere usati, così se sono potuti lanciare soltanto cinque in un primo momento (l’Ariel ne lancia solo uno perché colpita prima di poter lanciare il secondo) e subito dopo altri due (perché l’Airone, dopo il primo lancio, riesce a virare in modo da usare anche i tubi dell’altro lato) invece che dodici contemporaneamente, che avrebbero costituito una minaccia ben più grave per l’Ajax.
Dopo aver lanciato i siluri, l’Airone apre il fuoco anche con i cannoni, ma pur mettendo alcuni colpi a segno e causando diverse vittime a bordo dell’Ajax, non arreca danni gravi all’incrociatore, dotato di corazzatura in grado di resistere a colpi di calibro maggiore. Anche Alcione ed Ariel aprono il fuoco con i loro pezzi da 100 mm, qualche secondo dopo la caposquadriglia, ma senza ottenere centri. La reazione delle artiglierie dell’Ajax è invece catastrofica per le navi italiane: con i cannoni del calibro principale, l’incrociatore britannico demolisce la sfortunata Ariel, che affonda in pochi minuti portando con sé il suo comandante e 98 dei 139 uomini del suo equipaggio, mentre con i pezzi secondari da 100 mm riduce l’Airone ad un relitto galleggiante.
Delle tre torpediniere della I Squadriglia, l’Alcione è l’unica a riuscire ad allontanarsi indenne; successivamente, allontanatosi l’Ajax, la torpediniera ritorna sul luogo dello scontro nella speranza di portare qualche aiuto alle gemelle colpite. Qui trova il relitto incendiato dell’Airone; nell’avvicinarsi ad essa passa presso il punto dove ha visto l’Ariel venire immobilizzata dal tiro dell’Ajax, ma questa non c’è più, già affondata da quasi un’ora. Alle 3.03 l’Alcione raggiunge il relitto fiammeggiante dell’Airone ed inizia a raccoglierne i naufraghi dal mare; già alle 2.30 (o 2.45) il comandante Banfi dell’Airone, vedendo l’Alcione nelle vicinanze, ha ordinato all’equipaggio di abbandonare la nave, ormai condannata. Banfi invece rimane a bordo, intenzionato ad affondare con la sua unità, cosparsa di moribondi e feriti gravi che non è possibile portare in salvo. Il sottotenente di vascello Mario Magnolfi, comandante in seconda dell’Alcione, dirige il trasbordo dei naufraghi tra le due unità.
Alle 3.34 l’Airone affonda a 73 miglia per 135° da Capo Passero, in posizione 35°37’ N e 16°42’ E. L’Alcione si trattiene sul posto per circa un’ora, ripescando dal mare tutti gli uomini che riesce a trovare: 72, tutti appartenenti all’Airone (su 143 uomini che componevano il suo equipaggio). Poi, non vedendo altri superstiti, rimette in moto e fa rotta verso ovest, dove vede un lampeggiamento che il comandante Bonatti attribuisce a tiro di artiglieria. Prima di andarsene, per il caso che vi siano ancora uomini in mare, l’Alcione lascia sul posto una iole, affinché eventuali altri naufraghi possano servirsene (altra fonte parla di una motolancia con il compito di continuare l’opera di salvataggio; altra ancora afferma che l’Alcione se ne sarebbe andata circa quindici minuti prima che l’Airone affondasse, ritenendo di aver recuperato tutti gli uomini che si trovavano in mare). In effetti ci sono in mare parecchi naufraghi che l’Alcione non è riuscita a trovare nel buio della notte, sia dell’Airone che dell’Ariel: tra di essi anche il caposquadriglia Banfi, riportato a galla dalle bolle d’aria fuoriuscite dallo scafo della sua nave in affondamento.
L’Alcione naviga per circa mezz’ora verso ovest, dopo di che, resasi conto che il lampeggiamento visto era prodotto da scariche elettriche e non da un combattimento navale, accosta verso nordest alle 3.54, facendo rotta per Augusta, dove arriverà alle otto del mattino con il suo dolente carico, dando notizia dell’affondamento dell’Airone (mentre della sorte dell’Ariel Bonatti non sa niente, non avendola vista affondare e non avendone recuperato alcun superstite).
Nel frattempo, anche i cacciatorpediniere della XI Squadriglia sono passati all’attacco, ma non hanno avuto miglior sorte delle torpediniere che li hanno preceduti. L’Ajax ormai è in allarme, e questa volta è l’incrociatore ad avvistare per primo le navi italiane ed aprire il fuoco: l’Artigliere viene subito immobilizzato e messo fuori combattimento, con metà dell’equipaggio morto o ferito (tra le vittime anche il comandante e caposquadriglia della XI Squadriglia Cacciatorpediniere, capitano di vascello Carlo Margottini); l’Aviere viene a sua volta colpito e costretto a ritirarsi con gravi danni, 7 morti e 14 feriti a bordo; Geniere e Camicia Nera interrompono presto l’azione. L’Ajax riceve altri colpi a bordo, ma di nuovo senza subire danni particolarmente gravi; alle 3.06 informa l’ammiraglio Cunningham dell’accaduto, e riceve l’ordine di convergere verso il grosso insieme al resto del 7th Cruiser Squadron.
Il malconcio Aviere ed il Geniere, che lo scorta, fanno anch’essi rotta verso Augusta, dove giungono verso mezzogiorno, mentre il Camicia Nera torna sul luogo del combattimento e prende a rimorchio l’Artigliere, che ancora galleggia. Alle sette del mattino, tuttavia, le due navi vengono attaccate da aerei e contemporaneamente vedono unità nemiche profilarsi all’orizzonte: il 3rd (York, Liverpool, Gloucester) ed il 7th Cruiser Squadron (Orion e Sydney, l’Ajax non è invece tornato) più quattro cacciatorpediniere (tra cui il Nubian ed il Vampire), informati da dei ricognitori della presenza in zona dei due cacciatorpediniere, si sono avvicinati per distruggerli. Non potendo fare più nulla, alle 8.10 il Camicia Nera deve abbandonare il rimorchio e ritirarsi a tutta forza in direzione di Augusta, lasciando sul posto, a beneficio dei naufraghi dell’unità gemella, una zattera carley ed una motolancia con viveri, acqua e medicinali.
L’Artigliere viene finito dall’incrociatore pesante York, affondando alle 9.05, mentre il Camicia Nera riesce ad eludere l’inseguimento della formazione britannica e raggiungere a sua volta Augusta, poco prima di mezzogiorno.
Da parte italiana, l’azione notturna – che rappresenta sia il primo attacco di torpediniere condotto contro forze navali britanniche nel Mediterraneo (ed uno dei pochi in assoluto, in quanto dopo i primi mesi del 1941 questo genere di attacchi verrà demandato quasi esclusivamente a MAS e motosiluranti, ben più piccole e veloci) che il primo combattimento notturno tra navi italiane e britanniche – è stata un completo disastro. Le torpediniere della I Squadriglia hanno certamente mostrato grande intraprendenza, aggressività e spirito combattivo, come è stato riconosciuto non solo dai comandi italiani, ma anche dagli stessi britannici (a partire dall’ammiraglio Cunningham, nonché dallo storico ufficiale britannico I. S. O. Playfair, solitamente avaro di complimenti per il valore militare italiano), ma nonostante abbiano attaccato col favore della sorpresa, lanciando i loro siluri da ridotta distanza, non sono riuscite a metterne a segno neanche uno, e sono state poi fulminate dalla reazione dell’avversario. I Comandi della Regia Marina ne trarranno la conclusione che la Marina italiana sia tecnicamente inferiore a quella britannica nelle azioni notturne; corretta deduzione, come mostreranno tragicamente molteplici scontri notturni negli anni a venire. Nel dicembre 1940 Supermarina ammetterà anche che vi debbano essere delle carenze nell’addestramento al lancio dei siluri, sia di giorno che di notte, visto che sette lanci da parte di tre diverse navi, quasi contemporanei e da angolazioni diverse, non hanno avuto successo. Alcune fonti italiane attribuiscono la sconfitta al fatto che l’Ajax avesse in dotazione il radar, che gli avrebbe permesso una maggior precisione nel tiro rispetto alle unità italiane: ma in realtà il radar dell’Ajax era un modello piuttosto rudimentale e progettato per la scoperta degli aerei a grandi distanze (Type 279), di poca o nessuna utilità in uno scontro notturno contro delle navi di superficie, nel quale infatti non ebbe alcuna parte. Né si può dire che il tiro italiano sia stato, in questa occasione, più impreciso di quello britannico: sia l’Airone che l’Artigliere sono riusciti a mettere diversi colpi a segno sull’Ajax: ma i loro proiettili da 100 e 120 mm non avrebbero mai potuto danneggiare gravemente un incrociatore, mentre pochi proiettili da 152 mm dell’Ajax sono stati più che sufficienti a fare scempio delle siluranti italiane. La decisione del caposquadriglia di aprire il fuoco coi cannoni fu coraggiosa, ma probabilmente imprudente: le torpediniere (o per lo meno Airone ed Ariel) erano ancora troppo vicine all’Ajax, che avrebbe potuto facilmente distruggerle con il tiro dei suoi cannoni, mentre le artiglierie delle unità della classe Spica non avrebbero potuto arrecare danni gravi ad un incrociatore leggero.
Nel corso del combattimento, l’Ajax ha sparato 490 colpi da 152 mm (342 dalle torri prodiere e 148 dalle torri poppiere), un imprecisato numero di colpi da 100 mm, e lanciato quattro siluri. Il tiro dell’Airone e dell’Artigliere aveva causato all’Ajax danni “moderati”, che necessiteranno di due settimane di riparazioni, svolte ad Alessandria; l’incrociatore tornerà in servizio il 5 novembre 1940. Secondo alcune fonti, oltre ai danni causati dal tiro italiano, l’Ajax avrebbe subito (modesti) danni autoinflitti anche a causa dei suoi stessi cannoni, per via delle forti vibrazioni causate dall’intenso tiro eseguito a ridotta elevazione (vibrazioni che avrebbero anche danneggiato il suo radar).

L’Alcione ormeggiata di poppa, ben visibile l’armamento antisommergibili (g.c. Marcello Risolo, via www.naviearmatori.net)

13 ottobre 1940
Alle 15.10 l’Alcione lascia Augusta diretta a Capo Passero, dove riceve poi ordine di proseguire (in seguito all’autorizzazione ottenuta da Supermarina) verso la zona del combattimento della notte del 12 ottobre, per partecipare alle operazioni di ricerca e soccorso del gran numero di naufraghi di Artigliere, Airone ed Ariel che si trovano ancora in mare.
La iole lasciata dall’Alcione prima di andarsene, nella notte del combattimento, è tornata utile ai naufraghi, recuperando anche il caposquadriglia Banfi, che ha assunto il comando del gruppo dei naufraghi delle tre navi affondate, distribuiti tra la iole dell’Alcione, la motobarca del Camicia Nera e numerosi zatterini e battellini; per ordine di Banfi, la motobarca del Camicia Nera ha preso a rimorchio zatterini e battellini, dirigendo a lento moto verso le coste della Sicilia.
Le operazioni di ricerca, organizzate da Marina Messina e condotte dalla XV Squadriglia MAS e da diversi idrovolanti, sono ostacolate dal peggioramento delle condizioni meteomarine, con mare forza 4, temporali e piovaschi che causano il capovolgimento di alcuni natanti e la morte di diversi naufraghi. Dopo che in diverse occasioni sia i MAS che gli idrovolanti sono passati vicino ai naufraghi, senza riuscire ad avvistarli a causa della scarsa visibilità, alle 11.30 del 13 uno degli idrovolanti è finalmente riuscito ad avvistare una delle imbarcazioni a 50 miglia per 130° da Capo Passero. Sul posto vengono inviati i MAS ed altri idrovolanti, e poi anche l’Alcione, la nave ospedale Aquileia (la torpediniera viene informata della possibilità di incontrare quest’ultima) ed i cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli e Luca Tarigo della XIV Squadriglia, salpati da Messina alle 18.30.
I primi a raggiungere i naufraghi sono i MAS: per prima trovano la iole dell’Alcione, poi l’idrovolante 184/6 della 184a Squadriglia li guida fino agli altri natanti. I naufraghi sono ormai in mare da 36 ore; ne sono rimasti in vita 137 (82 dell’Artigliere, 41 dell’Ariel, dodici dell’Airone, più due marinai del Camicia Nera lasciati sulla motobarca quando la nave se n’era andata), che vengono tutti recuperati dai MAS. L’idrovolante 184/6 guida poi l’Alcione verso le tre piccole unità, sovraccariche all’inverosimile; giunta sul posto, la torpediniera prende a bordo una sessantina di superstiti trasbordati dai MAS, poi – si è intanto fatta sera – dirige verso Augusta insieme ad essi. Alcione e MAS giungono ad Augusta alle 23.50.
Le ricerche verranno proseguite durante la notte dalla XIV Squadriglia Cacciatorpediniere e poi anche la giornata del 14 e del 15 dagli idrovolanti e dall’Aquileia, ma senza trovare altri superstiti.
Quella condotta da Marina Messina tra il 12 ed il 15 ottobre è la prima grande operazione di ricerca e soccorso avviata dalla Marina italiana durante la seconda guerra mondiale; purtroppo non sarà l’ultima. In quattro giorni sono stati impiegati in tutto dieci aerei (che hanno compiuto tredici missioni), tre cacciatorpediniere, una torpediniera, una nave ospedale e sei MAS; gli idrovolanti della ricognizione marittima si sono particolarmente prodigati nelle ricerche in condizioni meteo sfavorevoli, giocando un ruolo fondamentale nell’individuazione dei naufraghi e permettendo ai mezzi navali di raggiungerli e salvarli.
Il comandante Bonatti dell’Alcione riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con motivazione "Comandante di torpediniera, con passione animatrice forgiava lo spirito del suo equipaggio riuscendo con opera tenace a far raggiungere alla sua unità un elevato grado di efficienza. Nel corso di una ricerca notturna di squadriglia in prossimità di una base nemica, dopo aver per primo avvistato un incrociatore avversario lo attaccava con fredda determinazione e con decisa aggressività portandosi a ravvicinata distanza. Lanciati i suoi siluri ed impiegate le altre armi di bordo nel modo più efficace, fatto segno alla violenta reazione del fuoco nemico, non desisteva dall’attacco sino a quando questo non era reso vano dall’allontanamento dell’avversario; recava quindi generosa opera di assistenza ad una unità della sua squadriglia immobilizzata, provvedendo al salvataggio dei superstiti. In successiva missione ritornava ancora sul luogo del combattimento per il recupero di altri naufraghi, dando sempre splendido esempio di sereno ardimento e di alte virtù militari".  Il comandante in seconda Magnolfi sarà insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Ufficiale in 2a di silurante impegnata in arditissimo attacco notturno con un incrociatore avversario, era di valido ausilio al suo comandante, impegnando con perizia ed efficacia le armi contro il nemico e prodigandosi, ad azione ultimata, per il recupero dei naufraghi di altra unità. Dava mirabile prova di slancio, di serenità, di ardimento".
28 ottobre 1940
Alle 18.15 l’Alcione rileva a Trapani la VII Squadriglia Cacciatorpediniere nella scorta dei trasporti truppe Esperia e Marco Polo, che accompagna fino a Napoli.
29 ottobre 1940
Il convoglio arriva a Napoli alle 9.
26-28 novembre 1940
L’Alcione, con le gemelle Vega, Sirio e Sagittario, lascia Trapani alle 17 del 26 novembre mentre sta avendo luogo l’operazione britannica «Collar» (che, avendo comportato l’uscita della maggior parte della Mediterranean Fleet – la Forza B con una la corazzata Renown, la portaerei Ark Royal, due incrociatori e 6 cacciatorpediniere, la Forza F con due incrociatori, un cacciatorpediniere, quattro corvette e tre piroscafi e la Forza D con la corazzata Ramillies, tre incrociatori e 5 cacciatorpediniere – ed in reazione quella di una consistente aliquota della flotta italiana, porterà all’inconclusiva battaglia di Capo Teulada), per compiere un rastrello notturno nel canale di Sicilia ed incrociare sino all’alba al largo di Capo Bon (Supermarina ha disposto questa uscita perché ritiene che le forze britanniche siano uscite in mare per un’azione contro le basi italiane, mentre in realtà «Collar» consiste nell’invio di due mercantili a Malta ed uno ad Alessandria).
Un’ora dopo la partenza, tuttavia, l’Alcione deve rientrare a Trapani a causa di un’avaria.
27 dicembre 1940
Alle quattro del mattino l’Alcione salpa da Tripoli per scortare a Palermo i piroscafi Caffaro ed Ernesto. Al largo, il Caffaro viene colpito da un siluro; non affonda, ma deve nuovamente essere rimorchiato a Tripoli, dove entra alle 18.30.
31 dicembre 1940
Alle otto del mattino l’Alcione riparte da Tripoli il Caffaro, di ritorno in Italia dopo le prime provvisorie riparazioni.
Alle 19.17 il sommergibile britannico Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), in agguato una trentina di miglia a nord di Tripoli, avvista in condizioni di pessima visibilità e fitta oscurità, in posizione 33°22’ N e 13°12’ E, l’Alcione in avvicinamento, dritta di prua: avvistato il Truant, che s’immerge immediatamente, l’Alcione gli passa ad alta velocità sulla dritta e lancia quattro bombe di profondità, che esplodono molto vicine al sommergibile, scuotendolo violentemente ma senza causare danni.
Anche un idrovolante della 145° Squadriglia avvista il Truant, e l’indomani verrà condotta una ricerca aerea nell’area compresa tra i meridiani 12°59’ E e 13°29’ E e tra i paralleli 33°02’ N e 33°19’ N, ma senza successo.
Non sarà l’ultimo incontro dell’Alcione con il Truant.
5 gennaio 1941
Alcione e Caffaro giungono a Palermo alle 20.
Dicembre 1940/Gennaio 1941
Il tenente di vascello Bonatti viene avvicendato al comando dell’Alcione dal tenente di vascello (poi capitano di corvetta) Luigi Falcucci, 29 anni, da Portoferraio.
11 febbraio 1941
Alle dieci l’Alcione parte da Palermo di scorta ai piroscafi Pegli, Audace e Florida II, diretti a Tripoli. Li scorta soltanto fino a Trapani, dove viene rilevata dalla gemella Calliope.
15 febbraio 1941
Alle 9 l’Alcione salpa da Palermo per scortare a Tripoli la motonave Rialto ed i piroscafi Istria e Beatrice Costa, diretti a Tripoli con automezzi dei primi scaglioni dell’Afrika Korps.
17 febbraio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 10.30.
6 marzo 1941
L’Alcione salpa da Napoli alle 19 per scortare a Tripoli le motonavi Andrea Gritti e Sebastiano Venier, che costituiscono il convoglio «Sonnenblume 9» per il trasferimento in Libia dell’Afrika Korps.
8 marzo 1941
Il convoglio giunge a Palermo in mattinata e vi si sosta fino all’indomani.
9 marzo 1941
Il convoglio riparte da Palermo; la scorta è ora rinforzata dalle torpediniere Pallade e Polluce.
11 marzo 1941
Raggiunto anche dalle torpediniere Clio e Centauro uscite da Tripoli, il convoglio giunge nel porto libico alle 13.30.
29 marzo 1941
L’Alcione, insieme alle gemelle Circe e Sagittario, prende il mare per raggiungere ed assistere il cacciatorpediniere Dardo (capitano di corvetta Bruno Salvatori), che sta faticosamente rimorchiando verso Trapani alla velocità di quattro nodi la motonave tedesca Ruhr (avente a bordo 585 soldati tedeschi e 160 veicoli), silurata la sera precedente dal sommergibile britannico Utmost in posizione 35°40’ N e 11°19’ E (al largo delle Kerkennah e 22 miglia a sudest di Kuriat), durante la navigazione in convoglio da Napoli a Tripoli. Sul posto sono inviati per prestare assistenza anche due MAS da Messina ed alcuni rimorchiatori da Trapani.
Alcione e Circe giungono sul posto alle 18.10; il Dardo rallenta gradualmente per consentire alle due torpediniere di affiancarsi alla Ruhr, attraccare ai suoi lati e prendere a bordo 200 soldati ciascuna. Alle 18.55 Alcione e Circe sono attraccate, ciascuna su un lato della motonave, e danno inizio al trasbordo; la Sagittario gira intorno al piccolo convoglio, vigilando su eventuali rischi. Alle 19.40 il trasbordo è completato, e le due torpediniere ripartono dirette a Trapani, per sbarcarvi i soldati. La Ruhr riuscirà ad arrivare in porto.
5 maggio 1941
La nave, inquadrata nella I Squadriglia Torpediniere insieme alle similari Sirio, Sagittario ed Aldebaran, viene messa alle dipendenze del nuovo Comando Gruppo Navale dell’Egeo Settentrionale (Marisudest), avente sede ad Atene ed attivo in Egeo in collaborazione con la Kriegsmarine.
Nel mese di maggio, durante le operazioni per l’occupazione di Creta, l’Alcione, insieme all’Aldebaran, viene inviata a Milo con il compito di scortare il gruppo di dragamine assegnati al dragaggio della zona di approdo di Iraklion (l’Alcione scorterà invece i dragamine destinati a sminare le acque di Suda), ma non essendo stati subito occupati i porti cretesi (causa l’imprevista accanita resistenza britannica) come invece era stato previsto, la missione non ha luogo e le torpediniere rimangono a Milo.

L’Alcione nell’autunno 1941, durante una scorta in Mar Egeo (g.c. STORIA Militare)

15 settembre 1941
L’Alcione e la gemella Sirio scortano i piroscafi tedeschi Arcadia e Salzburg e l’italiano Caterina Madre, con personale e materiale tedeschi, dal Pireo a Suda.
5 ottobre 1941
Sirio, Alcione ed il MAS 539 scortano il piroscafo italiano Andrea Contarini ed il tedesco Ithaka, con a bordo personale e materiali sia italiani che tedeschi, dal Pireo a Kavaliani.
6 ottobre 1941
Alcione e Sirio scortano i piroscafi tedeschi Ithaka e Delos, con personale e materiale delle forze germaniche, da Kavaliani ad Iraklion.
7 ottobre 1941
Alcione e Sirio scortano l’Ithaka ed il Caterina Madre da Iraklion a Suda, con personale e materiale tedeschi.
8 ottobre 1941
Alcione e Sirio scortano da Suda al Pireo il Caterina Madre ed il piroscafo tedesco Santa Fe, con personale e materiali tedeschi.
15 ottobre 1941
L’Alcione salpa dal Pireo per scortare a Salonicco, insieme alla Sirio ed al cacciatorpediniere Quintino Sella, un convoglio formato dai piroscafi tedeschi Burgas ed Artemis Pitta e dalle cisterne Torcello (italiana) e Petrakis Nomikos (tedesca). Alle 8.50, nel punto 37°40’ N e 23°51’ E (al largo dell’isola di Arsida), il sommergibile britannico Thunderbolt (tenente di vascello Cecil Bernard Crouch) avvista il convoglio, ed alle 9.53 l’unità lancia tre siluri da 600 metri contro la Petrakis Nomikos. L’attacco del Thunderbolt è totalmente infruttuoso, e dalle 9.58 alle 10.31 la scorta reagisce lanciando dieci bombe di profondità, che arrecano alcuni danni al sommergibile, specie al suo sonar. Due unità della scorta rimangono poi in zona per tutto il giorno.
18 ottobre 1941
Alcione e Sirio scortano Torcello e Petrakis Nomikos dal Pireo a Salonicco (?).
Ottobre 1941
Il capitano di corvetta Falcucci cede il comando dell’Alcione al parigrado Antonio Giaglione, 35 anni, da Torre del Greco. Sarà l’ultimo comandante dell’Alcione.
12 novembre 1941
L’Alcione e la più anziana torpediniera Castelfidardo lasciano Salonicco alle 14 per scortare a Kalkis, con scalo intermedio al Pireo, la nave cisterna Sanandrea ed i piroscafi Artemis Pitta (tedesco), Pasubio e Pier Luigi.
15 novembre 1941
Il convoglio arriva al Pireo alle 17, per poi proseguire alla volta di Kalkis.
19 novembre 1941
AlcioneCastelfidardo e l’incrociatore ausiliario Brioni scortano dal Pireo ad Iraklion le motonavi Città di AgrigentoCittà di Savona e Città di Alessandria, cariche di truppe e materiali.
20 novembre 1941
L’Alcione e la gemella Lira scortano i piroscafi tedeschi Salzburg e Santa Fe e l’italiano Brundisium, carichi di personale e materiali italiani e tedeschi, dal Pireo a Suda.
6 dicembre 1941
L’Alcione scorta il piroscafo tedesco Santa Fe, con materiali per le forze tedesche, da Suda a Candia.
8 dicembre 1941
Alcione e Sirio scortano Elli ed Artemis Pitta dal Pireo a Suda.

Siluramento
 
Nel pomeriggio del 10 dicembre 1941 l’Alcione, al comando del capitano di corvetta Antonio Giaglione, salpò dal Pireo alla volta di Suda, di scorta alle navi cisterna Arca ed Elli. Alle 11.05 dell’11 dicembre, il convoglio giunse in vista di Akrotiri (La Canea), a nord dell’abitato, ed alle 14.50 (orario, come quello precedente, secondo il diario del comando navale di Creta; "La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo" indica invece le 17 come orario dell’attacco), al largo di Punta Liman (a nord di Creta, all’ingresso della baia di Suda), in posizione 35°29' N e 24°11' E, gli aerei della scorta avvistarono le bolle d’aria che indicavano l’apertura dei tubi lanciasiluri di un sommergibile, e le scie di due siluri, quindi procedettero a sganciare alcune bombe di profondità e lanciarono sette razzi bianchi ed uno verde per avvertire il convoglio dell’attacco, anche volando bassi sulla verticale delle scie. 

L’Alcione fotografata da Aldo Fraccaroli al Pireo il 10 dicembre 1941, in procinto di partire per la missione che si sarebbe conclusa con il suo affondamento (g.c. STORIA Militare)

I siluri, in realtà quattro e non due, erano stati lanciati dal sommergibile britannico Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard), che alle 13.20 aveva avvistato il convoglio a 9 miglia per 012° da Capo Drepano, muovendo per attaccarlo, ed alle 14.32 – secondo l’orario indicato sul giornale di bordo del Truant, dunque con una certa discrepanza rispetto a quello indicato come orario di avvistamento delle scie da parte degli aerei – aveva lanciato quattro siluri contro una delle due navi cisterna, probabilmente l’Arca, da 3200 metri (la posizione al momento indicata da Haggard era 4,8 miglia per 344° da Capo Drepano). L’Alcione, che si trovava in testa al convoglio sulla rotta di sicurezza per entrare a Suda, riconobbe solo l’ultimo dei razzi (le segnalazioni fatte dagli aerei indicavano che il sommergibile era nei settori poppieri del convoglio), accelerò ed accostò sulla sinistra per tentare di attaccare il Truant e riuscì ad evitare il primo siluro, ma il secondo la colpì a poppa, asportandola o distruggendola e provocando anche l’esplosione delle bombe di profondità lì situate.
 
Il comandante Haggard del Truant, tornato a quota periscopica alle 14.50, si convinse di aver colpito la nave cisterna che aveva prescelto come bersaglio: scrisse infatti nel giornale di bordo di aver visto la petroliera che affondava lentamente rimanendo in assetto di navigazione, con nubi di fumo che si levavano dalla linea di galleggiamento a centro nave, vicino alla plancia, ed il “cacciatorpediniere” di scorta fermo nei pressi per prestare assistenza. Aveva, evidentemente, del tutto equivocato la scena presentatasi ai suoi occhi: era la nave cisterna – in assetto di navigazione, ovviamente, perché non aveva subito danni: non stava certo affondando – ad essersi fermata per prestare assistenza al “cacciatorpediniere”, cioè l’Alcione, la distruzione della cui poppa Haggard evidentemente non notò.

L’Alcione viene colpita dal siluro. Le due navi cisterna in secondo piano sono l’Arca e la più piccola Elli (g.c. STORIA Militare)


(da La Voce del Marinaio)

La torpediniera rimase immobilizzata e con la poppa distrutta, in lento affondamento: l’Elli la prese a rimorchio e tentò di portarla a Suda, ma l’improvvisato convoglio si rivelò incapace di raggiungere una velocità superiore a 2,5 nodi, pertanto, dato che l’Alcione stava imbarcando sempre più acqua ed affondando sempre più, rischiando di inabissarsi da un momento all’altro, il comandante Giaglione decise di farla portare all’incaglio in costa tra l’isola Manati e Punta Proto, ma la nave arrivò lì ormai quasi del tutto sommersa (secondo "La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo"), o, per altra versione (diario del comando navale di Creta), fu portata all’incaglio davanti all’isola di Marathi (nella baia di Suda) con la poppa rivolta verso terra, ma alle 15.35, in seguito al cedimento di una paratia a poppa sinistra, si abbatté improvvisamente sul lato sinistro, affondando su bassifondali ("Navi e marinai italiani della seconda guerra mondiale" riporta analoga versione, ma colloca l’affondamento alle 16.40). Parte del relitto rimase emergente, ma la nave fu considerata perduta ed irrecuperabile in conseguenza dei danni.
 
Secondo "La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo" i morti furono venti, mentre il diario del comando navale di Creta parla di 17 morti, un ferito grave e 13 feriti lievi.
 
Le vittime:
 
Lino Arvigo, marinaio fuochista, da Bolzano (deceduto)
Giuseppe Bombacigno, marinaio silurista, da Bari (disperso)
Paolo Bosco, sergente torpediniere, da Favara (disperso)
Rino Burba, marinaio fuochista, da Sacchice (disperso)
Giulio Cabas, marinaio, da Cagliari (disperso)
Alessandro Caliginori, marinaio fuochista, da Pettenaschio (disperso)
Felice Cassese, secondo capo meccanico, da Morcone (disperso)
Giulio Contini, marinaio fuochista, da Lerici (disperso)
Antonio Esposito, marinaio silurista, da Taranto (disperso)
Benedino Gemelli, sottocapo cannoniere, da Quistallo (disperso)
Vincenzo Iarussi, sergente cannoniere puntatore scelto, da Roma (disperso)
Angelo Irtino, sottocapo fuochista, da Cinago d’Asti (disperso)
Bruno Knes, marinaio silurista, da Aurisina (deceduto)
Paolo Lena, marinaio cannoniere, da Alzano Lombardo (disperso)
Giuseppe Librandi, sottocapo nocchiere, da Vibo Valentia (disperso)
Franco Marzocchi, marinaio fuochista, da Bognomella (disperso)
Antonio Massa, capo silurista di seconda classe, da Napoli (disperso)
Giuseppe Porzio, marinaio servizi vari, da Meta di Sorrento (disperso)
Giuseppe Procaccianti, marinaio torpediniere, da Subiaco (disperso)
Luciano Tamburini, sergente radiotelegrafista, da Ancona (disperso)
 
In un precedente episodio aveva già trovato la morte:
 
Adriano Bertagna, marinaio cannoniere, da La Spezia, disperso il 27.12.1940 nel Mediterraneo centrale
 
 
Il siluramento dell’Alcione nel giornale di bordo del Truant (da Uboat.net):
 
"1320 hours - In position 012° Cape Drepano 9.0 nautical miles sighted the masts and funnels of a tanker and a destroyer approaching the harbour from seaward. A seaplane was patrolling ahead of this convoy. Started attack on this tanker.
1432 hours - In position 344°, Cape Drepano, 4.8 nautical miles. Fired four torpedoes from 3500 yards. 2 Min., 30 Sec. after firing there was a double explosion which was very loud.
1450 hours - Came to periscope depth and observed the tanker beam on and sinking on an even keel. Clouds of smoke were seen rising from the waterline amidships near the bridge. The destroyer was standing by the stricken ship. Two seaplanes were in the air so went to 120 feet and retired to seaward."

Marinai dell’Alcione appollaiati sul cannone numero 3 da 100 mm, nel 1941 (g.c. Mauro Falzoi)

Marinai dell’Alcione a prua, presso il pezzo numero 1 da 100 mm, nel 1941. In secondo piano la torpediniera Sagittario e, più lontana (sulla sinistra), la portaidrovolanti Giuseppe Miraglia (g.c. Mauro Falzoi)




Tre immagini di Mario Falzoi, marinaio dell’Alcione, scattate nel 1941 (per g.c. del figlio Mauro)

Mario Falzoi in posa davanti all’Alcione, ormeggiata al Pireo nel 1941 (per g.c. del figlio Mauro)


Dati dell’attacco su Forum MarineArchiv
Pagina di Wikipedia sull’Alcione