lunedì 26 maggio 2014

Timavo


Il Timavo (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico da 7549 tsl, 4781 tsn e 9960 (o 10.650) tpl, lungo 141,5 metri e largo 17,5, con pescaggio di 8,17 metri e velocità 12-13 nodi. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino (con sede a Trieste), matricola 416 al Compartimento Marittimo di Trieste.

Il Timavo fotografato verosimilmente nel 1939-1940, durante il periodo della “non belligeranza” (foto Alex Duncan, da “The World’s Merchant Fleet”)
Breve e parziale cronologia.

Dicembre 1917
Varato nel cantiere San Rocco di Trieste (numero di cantiere 35) per la Navigazione Libera Triestina, compagnia ancora austroungarica. Inizialmente è stato impostato con il nome di Ombla, ossia un altro torrente carsico della Dalmazia, sfociante a nord di Ragusa, ma verrà infine completata come Timavo.
Agosto 1920
Completato nel cantiere San Rocco di Trieste per la Navigazione Libera Triestina (ora divenuta italiana) insieme ai gemelli Monte Grappa, Duchessa d’Aosta, Piave e Rosandra. Caratteristiche originarie 7434 tsl, 4662 tsn e 10.670 tpl, velocità massima (scarico) 14 nodi. Oltre al carico, la nave può trasportare una trentina di passeggeri di prima classe e qualche passeggero “ponte”.
Passerà tutta la sua vita sulla linea che fa il periplo dell’Africa.
20 novembre 1920
Lascia Trieste al comando del capitano O. Olivetti, e con equipaggio misto italo-jugoslavo, per il viaggio inaugurale, diretto a Sydney, dove caricherà grano da trasportare poi in Europa.
Dicembre 1920
Durante il viaggio inaugurale, nel corso della navigazione da Porto Said a Fremantle, ha luogo un singolare episodio, che si colloca nella confusa e turbolenta situazione dell’Italia (e dell’Europa) del primo dopoguerra: a causa di nuove norme da poco emanate, la nave lascia l’Egitto con una scorta di carne fresca di manzo inferiore a quella promessa all’equipaggio, cui viene invece dato del montone. Di conseguenza, mentre la nave si trova nei pressi dell’Equatore, i fuochisti, senza preavvisare il comandante o gli ufficiali, rallentano la nave e poi entrano in sciopero, rifiutando di mangiare montone o carne conservata (di cui la nave ha invece una sufficiente provvista) e richiedendo invece di mangiare pollame (che è conservato a bordo per gli ufficiali, in vista della celebrazione del Natale) due volte a settimana. Dato che gli uomini minacciano, in caso di rifiuto, di proseguire nello sciopero, la richiesta viene accolta, ma alcuni uomini rimangono turbolenti, ed il giorno di Natale, quando il Timavo si ormeggia alle boe a Fremantle, un addetto alla mensa minaccia il comandante Olivetti e tenta di danneggiare gli interni della nave: intervengono due commissari di polizia, e l’uomo viene arrestato ed incarcerato con l’accusa d’insubordinazione al comandante. L’indomani, il 26 dicembre, anche un marinaio minaccia il comandante e viene arrestato ed imprigionato per insubordinazione.
Dell’episodio viene incolpata la componente jugoslava dell’equipaggio, accusata di essere l’elemento turbolento, anche perché molti degli uomini portano sulle braccia il simbolo comunista (falce e martello) ed hanno appeso nelle mense ritratti di Lenin e Trotzkji: il capitano Olivetti si dichiara anzi convinto che i bolscevichi abbiano pagato i marinai per creare problemi.
1930-1931
Il Timavo ed i suoi tre gemelli, adibiti alla linea tra l’Italia ed il Sudafrica, vengono modificati per poter trasportare passeggeri, subendo un totale rifacimento degli interni per questa nuova esigenza: l’artista Anselmo Bucci viene chiamato ad ideare l’allestimento dei lussuosi interni dei quattro piroscafi. Il numero di passeggeri trasportabili viene portato a 58.

Il Timavo con i colori della Navigazione Libera Triestina (foto John H. Marsh, via Histarmar)
Ottobre 1935
Il Timavo trasporta munizioni in Eritrea durante la guerra d’Etiopia. La nave, dato che al contempo continua ad esercitare servizio di trasporto merci e passeggeri, fa scalo anche a Capetown, ma, in conseguenza del boicottaggio delle attività italiane da parte del Sudafrica, imbarca solo 380 tonnellate di carico, e nessun passeggero.
1937
Con l’assorbimento della Navigazione Libera Triestina da parte del Lloyd Triestino, il Timavo, insieme ai gemelli ed al resto della flotta NLT, passa al Lloyd Triestino (che in passato aveva già noleggiato la nave per qualche tempo, durante un periodo di crisi della NLT).

Il piroscafo durante la non belligeranza, con le bandiere di neutralità dipinte sulle murate (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)
La perdita

Anche il Timavo, al pari di tante altre navi del Lloyd Triestino (compresi i gemelli Piave e Duchessa d’Aosta), fu tra le vittime della dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, le oltre duecento navi mercantili sorprese da tale annuncio al di fuori del Mediterraneo ed abbandonate al loro triste destino.
Il 10 giugno stesso, poche ore prima della dichiarazione di guerra dell’Italia (per altra versione il 9 giugno), il Timavo ed un altro piroscafo della compagnia, il Gerusalemme, si trovavano ormeggiati nel porto di Durban, in Sudafrica, quando ricevettero un messaggio radio in codice che li avvertiva di quanto stava per accadere. (Secondo una versione, temendo che, all’atto della dichiarazione di guerra, le due navi si sarebbero autoaffondate ostruendo il porto, i cannoni da 150 mm della fortezza del Bluff di Durban vennero tenuti pronti ad entrare in azione, anche se alla fine non ce ne fu bisogno). Le autorità sudafricane, non potendo usare la forza perché la guerra non era ancora stata dichiarata, tentarono con tutti i mezzi consentiti di ritardare la partenza delle due navi, ma alla fine dovettero permettere loro di salpare: a mezzogiorno (per altra versione nella notte tra il 9 ed il 10 giugno) Timavo e Gerusalemme lasciarono frettolosamente Durban con documenti falsi secondo i quali avrebbero dovuto raggiungere Capetown, e difatti il Timavo fece rotta verso sud, ma, non appena furono scomparsi oltre la linea dell’orizzonte, i due piroscafi si separarono ed invertirono la rotta, dirigendo verso nord, verso il porto neutrale di Lourenco Marques, in Mozambico, colonia portoghese (così era stato loro ordinato).
La dichiarazione di guerra sorprese il Timavo in navigazione da Durban a Lourenco Marques: era notte quando l’annuncio della guerra giunse a Durban, e quasi subito gli aerei della South African Air Force, in attesa negli aeroporti della costa, decollarono per mettersi alla ricerca delle due navi fuggitive.
Per un giorno la navigazione del Timavo proseguì senza incidenti, sebbene carica di tensione: tutti temevano di veder comparire da momento all’altro navi od aerei nemici, tutti aguzzavano la vista in spasmodica attesa mescolata a tenue speranza di riuscire a sfuggire. La nave, dall’aspetto particolarmente appariscente (per via degli enormi alberi a traliccio) e pertanto facilmente individuabile e riconoscibile, avanzava nel mare sempre più burrascoso, le cui onde si riversavano in coperta con crescente violenza. L’11 giugno, al largo di Capo Vidal (Natal), 160 miglia a nordest di Durban, l’annuncio delle vedette confermò la peggiore delle previsioni: aerei a ore nove (al traverso a sinistra), velivoli sudafricani, che avevano avvistato il Timavo. Secondo una versione, i velivoli si avvicinarono e scesero di quota, poi segnalarono più volte alla nave italiana di dirigere immediatamente su Durman, minacciando, in caso di disobbedienza, di bombardarla. Il comandante del Timavo segnalò in risposta “Well” (bene) e la nave cambiò docilmente rotta dirigendo su Durban come ordinato, ma al contempo venne dato ordine di prepararsi all’autoaffondamento: il piroscafo non sarebbe caduto in mano nemica. Il Timavo proseguì nella navigazione, “come un condannato a morte che si avvia al patibolo”, come ebbe a scrivere Dobrillo Dupuis nel suo libro “Forzate il blocco!”, seguito e tenuto sotto controllo dagli aerei.
Giunto in prossimità di Capo Vidal, a nordest di Durban, l’equipaggio calò rapidamente le lance, sulle quali furono imbarcati i passeggeri e gran parte dell’equipaggio, poi portò la nave ad incagliare in costa ed avviò le manovre di autoaffondamento.
Secondo un’altra versione, invece, gli aerei, dopo aver trovato nella notte il Timavo circa 150 miglia a nordest di Durban, al largo di Leven Point (Capo Vidal), segnalarono alla nave di fermarsi, ma, in mancanza di risposta, sganciarono una bomba e spararono delle raffiche di avvertimento a proravia del Timavo, dopo di che il piroscafo cambiò improvvisamente rotta, diresse a tutta velocità verso la costa dello Zululand e si portò all’incaglio a tutta forza circa cinque miglia a nord della baia di St. Lucia, appena a nord di Leven Point, nel punto 27°49’ S e 32°36’ E.  
(Una terza versione afferma che la nave venne mitragliata e costretta ad incagliarsi dagli aerei sudafricani).
Alle 9.55 dello stesso 11 giugno il relitto del Timavo venne avvistato in posizione 27°50’ S e 32°40’ E dall’incrociatore ausiliario britannico Ranchi, partito da Durban il giorno precedente, che alle 10.54 inviò un’imbarcazione con un equipaggio di preda (per catturarlo), per poi proseguire nel suo pattugliamento. L’equipaggio di preda abbordò il Timavo e ne fece prigioniero l’equipaggio ma dovette constatare che la nave non poteva essere disincagliata, così che, quando il 13 giugno il Ranchi tornò sul posto, dovette riprendere a bordo sia il proprio equipaggio di preda che i 60 (o 50) uomini dell’equipaggio del Timavo, ora prigionieri. Gli uomini del Timavo furono trasbordati sul Ranchi con quattro viaggi: la lancia con il primo gruppo di prigionieri giunse sottobordo al Ranchi alle 12.43, quella con il secondo alle 12.59, quella con il terzo alle 13.06 ed infine gli ultimi prigionieri e la guardia armata raggiunsero il Ranchi alle 13.17. Alle 00.40 del 14 giugno il Ranchi si ormeggiò a Durban, dove venti minuti più tardi sbarcò i prigionieri. (Per altra versione, l’equipaggio del Timavo giunse a terra e si mise in marcia verso nord nel tentativo di raggiungere il confine con il Mozambico, ma venne raggiunto e catturato).
Da Durban venne inviato sul luogo dell’incaglio un rimorchiatore, che non poté però far altro che constatare che la nave era irrecuperabile.
Pochi giorni dopo, una mareggiata spezzò in due il Timavo incagliato, sancendone definitivamente la perdita. Parte del carico venne recuperato dalle autorità sudafricane (una squadra addetta al recupero si accampò e visse per qualche tempo sulla vicina spiaggia); alcune porte recuperate dal relitto del Timavo finirono ad arredare la casa vacanze “Lidiko Lodge” di Saint Lucia, all’epoca in costruzione, dove si trovano ancor oggi.
L’equipaggio del Timavo venne successivamente internato in uno dei sei campi d’internamento per cittadini italiani istituiti in territorio sudafricano.
Per loro, la guerra trascorse dietro i reticolati.
Solo il 30 gennaio 1947 gli uomini del Timavo, insieme a quelli del Sistiana (altro piroscafo del Lloyd Triestino catturato a Capetown nel giugno 1940) ed ai fascisti più irriducibili tra i soldati italiani prigionieri in Sudafrica, poterono imbarcarsi a Durban sul piroscafo Chitral, che li avrebbe riportati in patria. Giunsero a Napoli il 10 febbraio 1947: erano trascorsi quasi sette anni da quando avevano lasciato l’Italia sulla loro nave.
La loro nave, invece, l’Italia non l’avrebbe mai più rivista. Oggi del Timavo non resta che un ammasso di ferro divorato dalla ruggine e dall’erosione del mare (la nave giace infatti nella «surf zone», dove le onde s’infrangono e l’effetto distruttivo dei frangenti è maggiore) e ricoperto di vegetazione marina, pochi chilometri a nord di Leven Point nello Zululand, nel punto 27°52,00 S e 32°36,50 E. I resti della nave giacciono a duecento metri dalla spiaggia: sul fondale giace lo scheletro dell’enorme scafo, talvolta ricoperto dalla sabbia, e con la bassa marea si possono vedere i resti delle caldaie, che emergono dall’acqua. Sulla vicina spiaggia c’è ancora oggi l’argano che fu eretto nel lontano 1940 per recuperarne il carico.
Dal 2004, un divieto di accesso alla spiaggia (essendo un’area marina protetta) impedisce a chiunque, eccetto ricercatori e funzionari del parco, di avvicinarsi al relitto del Timavo

Tre fotografie del relitto del Timavo (la prima del John H. Marsh Maritime Research Centre di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net, le altre due di George Young via Casper Du Plessis. Nella seconda si notano, sulla vicina spiaggia, le tende della squadra addetta al recupero del carico.)




 
Un verricello allestito per il recupero del carico della nave (Coll. John H. Marsh, via http://rapidttp.co.za/waratsea/timavo.html)
 
“New Steamer Timavo”

2 commenti:

  1. Estremamente interessante. E' possibile trovare la lista dell'equipaggio internato a Koffiefontein insieme ai Missionari della Consolata di Nairobi? per il sito prigionieriinkenia.org. Grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sinceramente non saprei: penso che la strada migliore sarebbe di tentare di contattare la Croce Rossa Internazionale, che potrebbe avere l'elenco nei suoi archivi...

      Elimina