venerdì 31 ottobre 2014

Francesco Nullo


Il Francesco Nullo (g.c. Marcello Risolo via www.naviearmatori.net)

Cacciatorpediniere della classe Sauro (1130 tonnellate di dislocamento standard e 1650 a pieno carico). In guerra svolse una decina di missioni d’intercettazione di convogli (o singole navi) britannici nel Mar Rosso, senza mai riuscire a prendere contatto con navi nemiche, salvo che nello scontro nel quale andò perduto.

Breve e parziale cronologia.

9 ottobre 1924
Impostazione nei Cantieri del Quarnaro di Fiume.
14 novembre 1925
Varo nei cantieri Cantieri del Quarnaro di Fiume.
15 aprile 1927
Entrata in servizio. Durante le prove in mare il Nullo ha toccato una velocità di 37,4 nodi, così risultando il più veloce dei cacciatorpediniere della classe Sauro.
25 maggio-2 giugno 1928
Il Nullo ed il capoclasse Nazario Sauro vengono assegnati a compiti di assistenza durante la «Crociera aviatoria del Mediterraneo Occidentale» di Italo Balbo: il volo in formazione di 61 idrovolanti da Orbetello (decollo il 25 giugno) a Marsiglia (1° giugno) con tappe a Cagliari Elmas, Pollensa, Los Alcazares e Puerto de los Alfaques (31 maggio) e poi ritorno ad Orbetello (2 giugno), con un volo di oltre 2800 km complessivi. I due cacciatorpediniere seguono gli aerei lungo tutta la rotta, tenendosi pronti ad assistere eventuali idrovolanti in difficoltà.

L’unità in bacino di carenaggio (da www.icsm.it)

1929
Il Nullo ed i gemelli Nazario Sauro, Cesare Battisti e Daniele Manin formano la III Squadriglia Cacciatorpediniere, che, insieme alla IV Squadriglia (Francesco Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino Ricasoli) ed all’esploratore Pantera (conduttore), compongono la 2a Flottiglia della I Divisione Siluranti, inquadrata nella 1a Squadra Navale di base a La Spezia.
Gennaio 1933
Il Nullo trasporta il ministro delle comunicazioni Costanzo Ciano ed il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Sirianni, in visita ai pozzi petroliferi della regione del Devoli (Albania).
1933
Modificato, ricevendo una voluminosa centrale di tiro che viene realizzata sopra la plancia (che però peggiora le sue già non ottime condizioni di stabilità).
1935
In preparazione alla sua dislocazione in Mar Rosso, subisce nuovi grandi lavori per dotare i locali interni di climatizzazione. A causa del conseguente appesantimento, la velocità massima cala da 35 a 31,7 nodi e l’autonomia da 2600 miglia a 14 nodi a 2000 miglia alla stessa velocità.
Nell’autunno dello stesso anno il Nullo viene dislocato in Mar Rosso, entrando a far parte della Divisione Navale in Africa Orientale, al comando dell’ammiraglio Vannutelli (e composta, oltre che dal Nullo e dal gemello Manin, dagli incrociatori leggeri Bari e Taranto, dagli esploratori Tigre e Pantera, dalla torpediniera Audace e dai sommergibili Luigi Settembrini e Ruggiero Settimo). Esegue missioni di pattugliamento e contrasto al contrabbando di armi durante la guerra d’Etiopia.
Comanda il Nullo, in questo periodo, il CC Guglielmo Bolla.

La nave a Venezia nell’agosto 1936 (foto Baschetti-Venezia, Coll. M. Brescia)

1936
Il Nullo continua a far parte della Divisione Navale in Africa Orientale (alla quale si sono aggiunte anche le torpediniere Giacinto Carini e Generale Antonio Cantore, i sommergibili Tricheco, Narvalo, Salpa e Serpente, le navi appoggio sommergibili Antonio Pacinotti ed Alessandro Volta, l’incrociatore ausiliario Arborea e quattro MAS).
Lo comanda in questo periodo il capitano di corvetta Rosario Viola, 40 anni, da Riposto.
1937-1938
Rientra in Mediterraneo e prende parte alle operazioni connesse alla guerra civile spagnola.

Il Nullo al tempo della Guerra di Spagna (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)

Inizio 1939
Viene di nuovo inviato in Mar Rosso (in seno alla III Squadriglia Cacciatorpediniere), da dove non farà più ritorno.
Maggio 1940
Assume il comando dell’unità il CC Costantino Borsini.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, il Nullo (CC Costantino Borsini) forma la III Squadriglia Cacciatorpediniere, di base a Massaua, insieme ai gemelli Nazario Sauro, Cesare Battisti e Daniele Manin.
26 luglio 1940
Nullo, Battisti ed il sommergibile Guglielmotti lasciano Massaua per cercare un mercantile britannico (segnalato come proveniente da Suez ed in navigazione nel Mar Rosso), che non troveranno.
24-25 agosto 1940
Nella notte, Nullo e Sauro vengono inviati alla ricerca di naviglio nemico, che non trovano.
Il Nullo fotografato a fine anni Trenta (Coll. Aldo Fraccaroli, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it)

L’attacco al «BN 7» e l’ultimo duello

Compito principale dei cacciatorpediniere del Mar Rosso, contrariamente ai loro omologhi operanti in Mediterraneo, non era la difesa di convogli italiani da attacchi aeronavali britannici, bensì l’attacco ai convogli britannici che, provenienti dall’Oceano Indiano, si radunavano ad Aden e risalivano il Mar Rosso diretti a Suez. Il primo di questi convogli lasciò Aden il 2 luglio 1940; e sin dallo stesso mese di luglio, i cacciatorpediniere italiani di base a Massaua iniziarono a prendere il mare per intercettare tali convogli, ma senza successo. Tra luglio e settembre 1940, a seguito di avvistamenti da parte della ricognizione aerea, i cacciatorpediniere italiani presero il mare nottetempo per attaccare i convogli britannici, ma ogni volta non riuscirono a trovarli, dovendo così rientrare alla base a mani vuote. Entro ottobre, le navi italiane avevano inutilmente consumato gran parte delle proprie riserve di carburante, ritrovandosi così alle prese con una carenza di nafta, ed erano afflitte da ripetute avarie di macchina; anche gli equipaggi erano stanchi e sfiduciati, per lo sfiancante caldo torrido del Mar Rosso, le malattie del clima tropicale e la mancanza di risultati.
Al tempo stesso, la squadra britannica di stanza ad Aden aveva notevolmente incrementato la propria forza, giungendo a contare quattro incrociatori leggeri, tre cacciatorpediniere ed otto sloops, una flottiglia ben più moderna e numerosa di quella disponibile a Massaua per attaccare i convogli. A partire da settembre gli incrociatori antiaerei Carlisle e Coventry presero ad alternarsi nel pattugliare la rotta Aden-Suez, fungendo da protezione supplementare contro attacchi di navi di superficie.

La sera del 20 ottobre 1941 il Nullo (al comando del capitano di corvetta Costantino Borsini), il Sauro ed i più grandi Leone e Pantera della V Squadriglia lasciarono Massaua per intercettare il convoglio britannico «BN 7» (capo convoglio capitano di vascello H. E. Horan), formato da 32 mercantili (partiti da Aden il 19 ottobre, provenendo da Bombay, alla volta di Suez) scortati dall’incrociatore leggero neozelandese Leander (capitano di vascello James William Rivett-Carnac), dal cacciatorpediniere britannico Kimberley (capitano di corvetta John Sherbrook Morris Richardson), dagli sloop Yarra (capitano di corvetta Wilfred Hastings Harrington), Auckland (capitano di fregata John Graham Hewitt) ed Indus (capitano di fregata Eric George Guilding Hunt), rispettivamente australiano, britannico ed indiano, e dai dragamine britannici Huntley (capitano di corvetta Harold Robert Austin King) e Derby, nonché da una cinquantina di aerei da caccia e bombardieri di Aden. Il convoglio, diretto verso nord, era stato avvistatoed attaccato il 19 ottobre da un aerosilurante italiano Savoia Marchetti S. 79 “Sparviero” pilotato dal tenente Alberto Leonardi ed infruttuosamente cercato (il 20) dai sommergibili Guglielmotti e Ferraris e da un altro “Sparviero” pilotato dal sottotenente Mario Indri (che a differenza dei sommergibili trovò il convoglio e lo attaccò, ma senza cogliere risultati), ed il 20 ottobre il Comando Marina di Massaua aveva ordinato la partenza dei quattro cacciatorpediniere per intercettarlo. Il piano prevedeva che i più lenti e meglio armati Leone e Pantera (che avrebbero formato la seconda sezione, al comando del capitano di fregata Paolo Aloisi) avrebbero distratto la scorta, consentendo a Sauro e Nullo (che avrebbero costituito la seconda sezione, al comando del CC Moretti degli Adimari del Sauro) di superare lo schermo protettivo e lanciare i loro siluri contro le navi mercantili. Era previsto che il convoglio sarebbe passato al largo di Massaua intorno a mezzanotte.
Il mare era calmo e la luna illuminava bene la notte, ma la foschia riduceva la visibilità in direzione della costa africana. 
A bordo del Nullo si trovavano 204 uomini. Non tutti facevano parte del suo equipaggio "titolare": alcuni erano stati colpiti da malattie provocate dal torrido clima eritreo, tra cui una forma di “lichene pustoloso” che colpiva le persone dalla carnagione più delicata, causata dall'eccessiva sudorazione che portava ad una sorta di ostruzione dei pori della pelle, che a sua volta causava un fortissimo prurito. Tale malattia poteva essere curata solo mediante una licenza di due o tre giorni sugli altopiani dell’Etiopia, dal clima più salubre. Per rimpiazzare gli uomini mancanti e mettere la nave in grado di prendere il mare per attaccare il convoglio, si era reso necessario prelevare uomini da altre unità per assegnarli temporaneamente al Nullo: tra questi era il sergente Giovanni Battista Begliatti, del Pantera, che era stato trasferito sul Nullo quale sostituto due giorni prima della missione.
Dopo la partenza da Massaua, le due sezioni di cacciatorpediniere passarono nel canale di nord est dell’arcipelago delle Dahlak, per poi separarsi alle 21.15. Fu il Pantera ad avvistare per primo il convoglio, alle 23.21 (per altra versione alle 2.19 di notte del 21 ottobre: la differenza è causata verosimilmente dal diverso fuso orario), circa 35 miglia a nord-nord-ovest dell’isoletta di Jabal al-Tair (situata 110 miglia ad est/nordest di Massaua): in base agli ordini prestabiliti, il Pantera informò il Sauro di aver avvistato fumo a prora dritta, poi la sezione costituita da Leone e Pantera attaccò col cannone e col siluro, ritenendo, a torto, di aver silurato alcune navi, per poi ripiegare inseguita da parte della scorta (Leander, Kimberley, Auckland e Yarra). 
Nel frattempo, ricevuto il segnale di scoperta del Pantera, Nullo e Sauro si allontanarono dalla zona mentre la prima sezione attaccava, poi manovrarono per portarsi in posizione favorevole (rispetto alla luna) per attaccare, compiendo una prima virata di 90° a sinistra alle 00.16 del 21 ottobre e poi un’altra alle 00.50. Le due unità assunsero poi rotta sudest, ma procedettero per quasi un’ora senza vedere alcuna nave: poi, all’1.48, apparvero il Leander ed un’altra nave. Il Sauro attaccò infruttuosamente con due siluri, poi ripiegò sotto il fuoco del Leander, per poi tornare all’attacco silurante alle 2.07, stavolta contro il convoglio, ma di nuovo senza successo.
Al contempo, dal Nullo vennero avvistati dei lampi di luce che vennero attribuiti al lancio di siluri da parte di navi nemiche, e poco dopo una vedetta del cacciatorpediniere gridò di vedere scie di siluri che correvano verso la prua del Nullo. Mentre, alle 2.12, il Sauro si disimpegnava verso nord (coprendosi la ritirata con una cortina fumogena, secondo fonti britanniche), per aggirare il convoglio e tornare a Massaua attraverso il canale d’accesso meridionale, il Nullo, trovandosi ancora in una posizione favorevole per lanciare i propri siluri contro il convoglio, compì un’altra virata per attaccare prima di riprendere il proprio posto nella formazione.
Fu allora che la sorte tradì il cacciatorpediniere di Borsini: il timone del Nullo s’inceppò e rimase bloccato per diversi minuti, facendolo girare in tondo (il cacciatorpediniere compì due interi giri) e facendogli perdere il contatto con il Sauro.
Alle 2.20 i proiettori del Leander individuarono una nave dipinta di grigio chiaro, in navigazione verso nord: era il Nullo. L’incrociatore britannico, che si trovava 4200 metri a proravia dritta del Nullo, aprì il fuoco contro il cacciatorpediniere, che rispose al fuoco sparando prima contro una nave avvistata a poppavia ed identificata come un cacciatorpediniere – in realtà, probabilmente, l’Auckland – e poi contro il Leander. Lo scambio di colpi (nel quale il Nullo sarebbe stato avvantaggiato dall’avere polvere da sparo che non produceva fiammate visibili di notte – tanto che dal Leander si videro solo due delle salve tirate da parte italiana –, a differenza dell’incrociatore nemico, il quale però con i suoi pezzi da 152 poteva arrecare gravi danni al Nullo, invece impossibilitato a danneggiare seriamente un incrociatore con i suoi pezzi da 120 mm) proseguì per una decina di minuti, nei quali il Leander tirò otto salve alla cieca, delle quali, tuttavia, diversi proiettili andarono a segno, danneggiando la girobussola e la centrale di direzione del tiro del Nullo. Quest’ultimo, danneggiato, interruppe l’attacco e virò per ovest/nordovest in direzione del Canale di Harmil, allontanandosi a 30 nodi di velocità, inseguito dal Leander che ne aveva intuito le intenzioni. Le macchine del cacciatorpediniere, nonostante la loro età, funzionavano bene, e permettevano di raggiungere quella velocità senza emettere fumo che ne facilitasse l’individuazione. Il Leander setacciò vagamente l’oscurità con il proiettore e con cortine luminose, ma non riuscì a rintracciare il Nullo, dovendosi quindi limitare a proseguire nella direzione in cui era sparito.
Sfortuna volle che alle 2.40, mentre il capo del complesso prodiero da 120 del Nullo si recava dal direttore del tiro per informarlo che erano rimasti in canna due proiettili, un incidente inaspettato – forse l’involontario urto di qualcuno o qualcosa contro il pulsante di fuoco nella stazione di direzione del tiro – fece partire proprio quei due colpi, permettendo alle unità nemiche di ritrovare la nave di Borsini, che tuttavia riuscì a distanziarle.
Alle 3 anche il Kimberley si unì all’inseguimento, ma cinque minuti dopo il Leander (che dall’inizio dell’attacco al convoglio aveva sparato in tutto 129 colpi da 152 mm) decise di tornare indietro, ritenendo che il cacciatorpediniere italiano si stesse allontanando ad un tasso di 7 nodi dall’incrociatore, e che sarebbe stato imprudente lasciare solo il convoglio, che avrebbe potuto subire altri attacchi (questa decisione venne poi criticata dal comando britannico di Aden come “mancanza di aggressività”). Il Kimberley, invece, decise di proseguire, sperando di poter intercettare il Nullo (per alcune fonti, anche lo Yarra inseguì il Nullo insieme al Kimberley, ma probabilmente si tratta di un errore), che nel frattempo stava perdendo tempo, a causa di problemi idrografici, nell’imboccare il canale nordorientale di accesso a Massaua.

L’incontro avvenne alle 5.40 del 21 ottobre, al largo dell’isola di Harmil. Il Kimberley, che vi era giunto poco prima dell’alba, avvistò una sagoma a sud-sudest, e si avvicinò per vedere di cosa si trattasse; alle sei del mattino, anche le vedette del Nullo avvistarono un fumo a nordest, poi divenuto una nave che non riuscirono ad identificare a causa del pronunciato angolo tra le loro due rotte. Il comandante Borsini, comunque, ritenne che si trattasse del Sauro, impressione rafforzata quando il nuovo arrivato, apparentemente, si mise a fare segnalazioni per comunicare con il presidio italiano dell’isola di Harmil. Più che un attacco da parte di navi nemiche, Borsini era preoccupato dalle secche che circondavano l’imbocco del canale settentrionale di Massaua, e soprattutto dal banco di sabbia a soli 3,7 metri di profondità che si trovava subito a nord della posizione stimata del Nullo delle ore 5.
L’attenzione del cacciatorpediniere italiano dovette però bruscamente volgersi all’altra nave quando alle 5.53, all’improvviso, il Kimberley aprì il fuoco da 11.300 metri. Colto di sorpresa, il Nullo perse quattro minuti prima di rispondere al fuoco, ed alle 6.05 virò bruscamente passando da una rotta verso nordovest ad una verso sud/sudovest. Entro le 6.11 la distanza si era ridotta a 9400 metri; a causa dei danni subiti nel precedente scontro con il Leander, da bordo del Nullo si dovette tirare a vista, senza potersi avvalere della centrale di tiro, e per rifornire i cannoni di munizioni fu necessario creare delle catene umane che portavano i proiettili dai depositi munizioni. Il Nullo evitò nove salve del Kimberley, poi altre tre salve caddero corte ma servirono alla nave britannica per allineare meglio le proprie artiglierie meglio il bersaglio, seguite da altre sei salve che inquadrarono la nave italiana pur senza colpirla. La distanza tra le due navi andò progressivamente scendendo da 8200 a 3650 metri.
Alle 6.15 anche le batterie costiere dell’isola di Harmil, ed in particolare la «Giulietti», dotata di quattro cannoni da 120/45 mm ed al comando del tenente di vascello di complemento Lorenzo Maggiolo, si unì allo scontro, aprendo il fuoco contro il Kimberley. Nello stesso momento – la distanza tra le due navi si era ridotta a 7770 metri – il Kimberley virò verso sud emettendo fumo nero dal fumaiolo, il che diede ai cannonieri del Nullo l’erronea impressione di aver colpito la nave nemica.
Poco dopo, alle 6.20, la situazione del Nullo precipitò quando il cacciatorpediniere italiano strisciò contro un banco di sabbia corallina, che aprì uno squarcio nel suo scafo e danneggiò un’elica.
Poi, mentre l’unità – che già stava imbarcando acqua – stava assumendo una rotta adatta ad aggirare l’isola di Harmil, il Kimberley la colpì con due proiettili: il primo esplose nella sala macchine prodiera, il secondo colpì la sala macchine poppiera. Le schegge spazzarono le sovrastrutture; subito dopo essere stato colpito, il cacciatorpediniere sbandò bruscamente a sinistra con incendio a bordo, mentre le sue macchine si fermavano.
Il comandante Borsini ordinò all’equipaggio di prepararsi ad abbandonare la nave, ma intanto manovrò in modo da assumere una rotta verso l’isola di Harmil, in un ultimo tentativo di salvare la nave portandola all’incaglio: le macchine però non funzionavano più, e la spinta dell’abbrivio si esaurì prima che la nave giungesse in acque abbastanza basse da potersi incagliare. Avvicinandosi ad Harmil, Borsini intendeva, se non fosse stato possibile salvare la nave, almeno permettere all’equipaggio di mettersi in salvo raggiungendo la vicina isola, ed al contempo attirare il Kimberley entro il tiro delle sue batterie costiere. Il complesso poppiero da 120 mm del Nullo continuò a sparare finché lo sbandamento non divenne eccessivo; il secondo capo cannoniere Urbano Pierdiluca, sentito l’ordine che gli uomini non destinati alle armi abbandonassero la nave, raggiunse il complesso prodiero da 120 mm per permettere di sparare con maggiore intensità, finché fu colpito ed ucciso da una scheggia (fu decorato con la Medaglia di bronzo al Valor Militare alla memoria).
Il Kimberley lanciò un siluro per finire l’agonizzante Nullo, ma l’arma mancò il bersaglio.
Sul Nullo il comandante Borsini, mentre gli ultimi uomini scendevano in mare, prese la sua ultima decisione: sarebbe rimasto a bordo, per seguire la sorte della sua nave. A bordo, ormai, non c’era più nessun altro; la nave affondava lentamente. Gli uomini già in mare e sugli zatterini lo videro e gli gridarono di mettersi in salvo, ma Borsini non si mosse, limitandosi a salutarli.
Era attendente di Borsini un ventenne marinaio torrese, Vincenzo Ciaravolo, marinaio (su navi mercantili, aveva già navigato ai tempi delle guerre di Spagna e d’Etiopia) anche in tempo di pace: richiamato nel 1939, fino al 21 settembre 1940 (data del suo trasferimento sul Nullo) aveva prestato servizio sulla nave coloniale Eritrea, della quale lo stesso Borsini era stato comandante in seconda fino a pochi mesi prima, quando in maggio aveva assunto il comando del Nullo. Dall’Africa dove combatteva, Ciaravolo inviava spesso i pochi soldi della paga alla famiglia, che viveva in condizioni di seria indigenza.
Vincenzo Ciaravolo, come il resto dell’equipaggio, si era già tuffato in acqua, ma solo dopo aver ricevuto l’ordine direttamente dal suo comandante: aveva baciato la sua mano destra e poi si era gettato in mare. Una volta a bordo di uno zatterino, Ciaravolo si accorse che il comandante Borsini era rimasto in plancia, deciso ad affondare con la nave: il giovane marinaio, dopo aver vanamente gridato con gli altri a Borsini di salvarsi, si ributtò in mare, tornò a nuoto verso il Nullo agonizzante, risalì a bordo con una scaletta che pendeva lungo la murata e si diresse verso il suo comandante, forse intenzionato a cercare di convincerlo, o costringerlo, a mettersi in salvo, forse desiderando morire al suo fianco.
Frattanto il Kimberley si era avvicinato maggiormente (tanto da poter leggere chiaramente le lettere identificative «NL» dipinte sullo scafo della nave italiana, riconoscendola così come il Nullo), ed aveva lanciato un secondo siluro: questa volta l’arma andò a segno, proprio mentre Ciaravolo si accingeva a raggiungere Borsini. Centrato dal siluro, il Nullo esplose, si spezzò in due ed affondò rapidamente nel punto 16°28’ N e 40°13’ E (nel canale a nordest di Harmil, vicino all’isolotto di Seil Harmil), portando con sé il comandante Borsini ed il marinaio Ciaravolo, oltre ai corpi di dodici uomini rimasti uccisi nel combattimento. Erano le 6.35 del 21 ottobre 1940.
Sul mare e sugli zatterini restavano 190 naufraghi, che nuotavano in direzione della vicina isola.
Il Kimberley aveva sparato in tutto 115 salve, oltre ad aver lanciato due siluri; non era mai stato colpito dal tiro del Nullo, ma a breve Borsini sarebbe stato vendicato.

Una cartolina dell’epoca commemorante l’atto finale di Borsini e Ciaravolo.

Poco dopo l’affondamento del Nullo, infatti, la batteria «Giulietti» di Harmil apprezzò finalmente la giusta distanza a cui tirare,  ed un proiettile colpì il Kimberley in sala macchine, ferendo tre uomini. Le schegge tranciarono le tubature del vapore, facendo fermare le macchine e così immobilizzando il Kimberley, come questi aveva fatto con il Nullo appena pochi minuti prima. Un secondo proiettile danneggiò il complesso numero 1 delle artiglierie. Il cacciatorpediniere britannico, tuttavia, continuò a sparare, tirando 45 salve esplosive contro le batterie costiere: alcuni dei colpi andarono a segno, ferendo quattro uomini, e nel frattempo l’equipaggio del Kimberley riuscì a rimettere in moto. Dopo pochi minuti il Kimberley si allontanò arrancando a 15 nodi, e le batterie di Harmil cessarono il fuoco alle 6.45, quando ormai la distanza era salita a 17.400 metri. Prima ancora che il combattimento avesse termine, il personale della «Giulietti» (che in tutto aveva sparato 80 salve per totali 169 colpi contro il Kimberley, non potendo fare di meglio per la scarsa qualità del materiale, che impedì un tiro più intenso, veloce e concentrato), guidato dal TV Maggiolo, uscì in mare con varie imbarcazioni, riuscendo a recuperare tutti i 190 naufraghi del Nullo, compresi i feriti. Su un totale di 204 ufficiali, sottufficiali e marinai presenti sulla nave, mancarono all’appello quattordici uomini, mentre altri undici erano rimasti feriti. Borsini e Ciaravolo sarebbero entrambi stati decorati con la Medaglia d’oro al Valor Militare, alla memoria. La Medaglia d’argento al Valor Militare fu conferita alla memoria del capo segnalatore di terza classe Carlo Bricé, di 32 anni, da Forlì. Ricevettero la Medaglia di bronzo al Valor Militare, oltre al secondo capo Pierdiluca (alla memoria), anche il comandante in seconda, tenente di vascello Giovanni Gianformaggio (a vivente, per il proprio ruolo nelle manovre e nel combattimento nonché per aver portato l’equipaggio in salvo sull’isola di Harmil) ed al capo meccanico di terza classe Francesco Sales (alla memoria), il quale, benché in precarie condizioni di salute, si era rifiutato di essere sbarcato ed assegnato ad incarico a terra, ed era morto durante lo scontro.
Il Kimberley (che complessivamente aveva sparato 596 proiettili perforanti e 97 esplosivi, dei quali un centinaio contro la batteria «Giulietti» e gli altri contro il Nullo) s’immobilizzò di nuovo una volta giunto fuori tiro, ma venne infine raggiunto dal Leander e da questi rimorchiato a Porto Sudan, superando indenne un attacco aereo.
I proiettili sparati dal Kimberley, a decenni di distanza, giacciono ancora inesplosi sull’isola di Harmil (da “Ulisse con le pinne” di Lino Pellegrini, Acanthos Editore)

Il giorno seguente, il 22 ottobre (oppure più tardi lo stesso 21), tre bombardieri britannici Bristol Blenheim del 45th Squadron della Royal Air Force sganciarono le loro bombe sul relitto affiorante del Nullo ad est di Harmil, ritenendo di aver affondato un cacciatorpediniere che ancora galleggiava. Ebbe qui origine l’equivoco per cui varie fonti britanniche riportano il Nullo come solo gravemente danneggiato dal Kimberley, incagliato e poi definitivamente distrutto dai bombardieri Blenheim l’indomani (inizialmente, prima di chiarire che solo il Nullo era stato affondato, da parte britannica si ritenne che un cacciatorpediniere italiano fosse stato affondato dal Kimberley, ed un altro gravemente danneggiato, e forse affondato, dai bombardieri). In realtà, quello che i Blenheim attaccarono era già un relitto, affondato in acque poco profonde.


Le vittime del Nullo (nell’affondamento, o per le ferite riportate):

Costantino Borsini, capitano di corvetta (comandante), deceduto
Carlo Brice, capo segnalatore di terza classe, disperso
Stefano Castriconi, marinaio cannoniere, disperso
Vincenzo Ciaravolo, marinaio, disperso
Roberto Dardano, sottotenente di vascello, deceduto in Eritrea il 10.11.1940
Giuseppe Di Paola, capo meccanico di prima classe, disperso
Francesco Filannino, sottocapo furiere, disperso
Gaetano Italiano, marinaio fuochista, deceduto l’8.11.1940
Urbano Pierdiluca, secondo capo cannoniere, deceduto
Giuseppe Raimondo, marinaio fuochista, disperso
Marcello Rebissoni, marinaio fuochista, deceduto in Eritrea il 16.11.1940
Giuseppe Sorgi, sottotenente del Genio Navale, disperso
Pasquale Taglietta, marinaio elettricista, deceduto
Giuseppe Vecchioli, sottocapo silurista, deceduto


I cannoni del Nullo vennero successivamente recuperati, e due dei suoi pezzi da 120/45 mm andarono a formare, insieme ad un terzo di altra provenienza, una batteria sull’isolotto Dur Gaam, che prese il nome di «Borsini» (ad un’altra batteria, realizzata sull’isola di Dohul, l’USMM propose di dare il nome «Ciaravolo», ma prevalse la proposta del Comando Navale Africa Orientale di denominarla «Eritrea»). Questa batteria proteggeva da attacchi navali nemici il canale nordorientale di accesso a Massaua, proprio quello che il Nullo aveva tentato invano di raggiungere nel suo combattimento finale.
Il bollettino di guerra del 22 ottobre 1940, dopo aver annunciato l’attacco al convoglio esagerando le perdite subite dal nemico (in realtà limitate al solo danneggiamento del Kimberley), riportò che un cacciatorpediniere – non nominato, ma chiaramente il Nullo – era stato colpito e si era portato sotto la protezione delle batterie costiere della Regia Marina, tacendone la perdita (“Nel com­plesso delle azioni sono stati affondati sei piroscafi ed altri risultano seriamente danneggiati; a malgrado degli aspri combattimenti, solo una delle nostre siluranti è stata colpita dal fuoco degli incrociatori nemici. Essa, nonostante le gravi avarie subite, è riuscita tuttavia a portarsi sotto la protezione delle batterie costiere della R. Marina. Le perdite tra l'equipaggio sono lievi”). Che il Nullo, stavolta con il nome, era stato affondato venne annunciato nel bollettino del 24 ottobre, parlando però di autoaffondamento a seguito dei danni subiti (“Il cacciatorpediniere Nullo gravemente danneggiato nello scontro in Mar Rosso si è autoaffon­dato nei pressi della costa”); il 26 ottobre, infine, venne annunciato che il comandante Borsini, posto in salvo l’equipaggio, aveva voluto perire con la sua nave (“Il comandante del cacciatorpediniere Nullo, capitano di corvetta Co­stantino Borsini, dopo aver posto in salvo quasi tutto l'equipaggio, si è inabissato colla sua nave”).
Il Francesco Nullo fu la prima nave da guerra di superficie della Regia Marina ad essere affondata in Mar Rosso.

Uno dei cannoni del Nullo recuperati e sistemati a Dur Gaam, abbandonato sull’isola a decenni di distanza (da “Ulisse con le pinne” di Lino Pellegrini, Acanthus Editore)

A Borsini e Ciaravolo ed al Nullo lo scrittore Filippo Tommaso Marinetti, guida del futurismo, dedicò nel 1942 la «Simultaneità di Borsini Ciaravolo cacciatorpediniere ‘Nullo’ gloria della marina italiana» nell’“aeropoema” «Canto uomini e macchine della guerra mussoliniana», e successivamente un brano musicale delle “sintesi musicali futuriste” («Gli eroi Borsini e Ciaravolo affondano col cacciatorpediniere Nullo nel Mar Rosso», cantato da Marinetti stesso e musicato al pianoforte da Aldo Giuntini). Torre del Greco dedicò nel 1941 la propria Villa Comunale a Ciaravolo; in epoca più recente, nel 2001, la Marina Militare ha intitolato a Borsini uno dei nuovi pattugliatori della classe Comandanti. Una delle palazzine della base navale di Taranto è anch’essa dedicata a Ciaravolo; vie intitolate a Borsini esistono a Milano, Malnate (suo paese d’adozione) e Fiumicino, mentre vie intitolate a Ciaravolo sono a Fiumicino e Napoli.
Dato che gesti come quello di Borsini non erano isolati (avevano già condiviso volontariamente la sorte delle loro navi, ad esempio, il CV Enrico Baroni del cacciatorpediniere Espero ed il CC Lorenzo Bezzi del sommergibile Liuzzi) e rischiavano di privare la Regia Marina di ufficiali esperti e coraggiosi, dopo l’affondamento del Nullo venne fatta circolare la disposizione “ufficiosa” che invitava ad evitare altri gesti simili, ma ancora moltissimi comandanti l’avrebbero “trasgredita” seguendo deliberatamente le proprie unità in fondo al mare.

Il relitto del Nullo, che giace a 60-80 metri di profondità e circa cinque miglia a sudest del vecchio faro di Harmil, venne trovato nel 1956 dal subacqueo, giornalista e fotografo Lino Pellegrini, che vi s’immerse con la moglie Elena e recuperò alcuni oggetti, oltre ad informare la vedova del comandante Borsini, Olga (che alla morte del marito aveva un figlio di tre anni, Ubaldo), del ritrovamento. Pellegrini trovò il relitto in gran parte distrutto dall’esplosione che ne aveva segnato l’affondamento, tanto da risultare ben poco riconoscibile; negli anni successivi all’affondamento, i resti del Nullo erano anche stati depredati dalla popolazione locale. Non sembra che, dopo il 1956, il relitto del cacciatorpediniere abbia più ricevuto visite; e probabilmente la nave di Borsini e Ciaravolo potrà riposare indisturbata ancora a lungo, avendo il governo eritreo interdetto ogni visita all’isola di Harmil, sede di un presidio militare eritreo.
Due dei cannoni da 120 mm del Nullo, quelli recuperati ed assegnati alla batteria «Borsini» di Duur Gam, sono ancor oggi visibili tra i resti degli apprestamenti militari dell’isola, fatti saltare all’atto della resa italiana nell’aprile 1941.

Ancora una foto del Nullo (da Pier Filippo Lupinacci e Aldo Cocchia, “La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. X: Le operazioni in Africa Orientale”, Roma, USMM, 1961, via it.wikipedia.org)

La motivazione del conferimento della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria del capitano di corvetta Costantino Borsini, nato a Milano il 7 aprile 1906:

“Comandante di cacciatorpediniere, durante l’attacco ad un grosso convoglio giunto a contatto con siluranti e incrociatori nemici, impegnava audacemente aspro combattimento, animando i dipendenti con l’esempio del proprio valore. Colpita la sua nave da numerosi colpi che ne menomavano irreparabilmente l’efficienza, persisteva nell’impari lotta con efficaci risultati, dando prova di fermezza, di grande serenità d’animo e di sommo sprezzo del pericolo. Dopo aver provveduto alla salvezza dell’equipaggio, rifiutava recisamente di abbandonare la sua nave e, impavido e fiero sul ponte di comando, volto verso il nemico, affondava con essa, incontrando sublime e gloriosa morte.
Mar Rosso (presso isola Harmil), 21 ottobre 1940.”

Il capitano di corvetta Costantino Borsini (g.c. Giovanni Pinna)

La motivazione del conferimento della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria del marinaio Vincenzo Ciaravolo, nato a Torre del Greco il 21 novembre 1919:

“Imbarcato su silurante impegnata in aspro combattimento contro incrociatori e cacciatorpediniere nemici, con calma serena rimaneva durante tutta l’azione al fianco del suo comandante di cui era attendente. Ricevuto l’ordine di abbandonare la nave che affondava per i gravi danni riportati durante il combattimento, si gettava in mare: ma accortosi che il comandante rimaneva al suo posto, spontaneamente risaliva a bordo in un generoso slancio di fedeltà e di altruismo, ben conscio del mortale pericolo al quale si esponeva. Nella sublime decisione di seguire la sorte del suo comandante affrontava con lui la morte gloriosa degli eroi. Mar Rosso (presso l’isola di Harmil), 21 ottobre 1940.”

Ricordi del sergente Giovanni Battista Begliatti, superstite del Nullo, addetto al complesso poppiero da 120 mm (si ringrazia il nipote Fabio Begliatti II, autore dell’intervista):

“Domanda: Trasferimento in Eritrea. Perché?
Risposta: Ero stufo di stare a Lero che non c’era niente, e ho chiesto di essere trasferito in Africa, ma alla fine c’era ancor meno che in Grecia, ed in più faceva un caldo insopportabile. Siamo arrivati il 10/12 maggio (del 1940, ndr), ed il 15 giugno ci hanno già bombardati, a Massawa.
[Parte omessa, relativa al periodo trascorso sul Leone e poi sul Pantera. Viene descritta la situazione generalmente precaria delle navi dislocate in Eritrea, ormai vetuste e risistemate alla meglio per il clima africano, infestate dai topi e con vitto pessimo.]
D: e dal Pantera come sei finito sul Nullo
R: come rimpiazzo, perché mancava un uomo che era all’ospedale, non era disponibile.
D: comunque voi della missione non sapevate niente
R: eh, cosa sapevamo? L’equipaggio non sa mai niente, sapevamo che dovevamo uscire, ma per il resto i dettagli li sapevano gli ufficiali e loro manovravano l’operazione
D: quindi si preparava una missione…
R: si ma vedi, dopo aver vissuto tutto quello che avevamo vissuto, dopo essere pronti a una missione senza contare su navi esploratori, senza segnalazione aerea, eravamo sicuri di andare incontro a… alla fine. Siamo partiti, di notte, non di giorno e siamo stati fuori un bel po’.
D: e poi il Nullo ha avuto una avaria al timone
R: è stato colpito
D: ah si? Ma su internet c’è scritto che ha avuto una avaria
R: si, una avaria. Perché è stato colpito, per quello che mi ricordo. Forse non era neanche fuoco nemico, ma di questo non son sicuro.
D: colpito da cosa esattamente?
R: da una bomba che non è caduta proprio sulla nave ma è caduta nell’acqua vicino alla poppa ed esplodendo ha mandato il timone in avaria. Perché la bomba, quando tocca l’acqua esplode. [Probabile confusione con un altro episodio, non risultando alcun intervento di aerei nello scontro.]
D: e poi nella tarda nottata avete avuto il Kimberley alle calcagna
R: si, era già quasi l’alba.
D: ma voi sapevate che era il Kimberley?
R: no, non ci eravamo presentati. Non lo sapevamo con certezza anche perché i cacciatorpediniere inglesi erano simili tra loro.
D: comunque eravate vicini ad Harmil
R: l’isola! E li ci hanno presi a calci nel culo.
D: comunque al primo colpo tu ti sei buttato a mare
R: eh, ci siamo buttati tutti… ci han detto: “Tutti a mare”!
D: e tu sei saltato subito in acqua
R: subito, non ho aspettato di guadagnare la medaglia alla memoria
D: dove ti trovavi quando il Nullo è stato colpito?
R: ero nella casamatta del cannone a poppa. Non potevo lasciare il posto di combattimento fino a nuovo ordine, ma era chiaro che non c’era più niente da fare.
D: ed è affondato
R: eh, in quattro e quattr’otto, si è messo a girare in tondo!
D: in tondo?
R: eh si, oramai era ingovernabile… si, correggeva con i motori di destra e di sinistra per la direzione, ma girava di qua e di là
D: quindi si è incagliato e tu ti sei buttato. Com’era l’acqua?
R: in Mar Rosso non è mai fredda
D: e quanto c’era da lì all’isola?
R: eh, vai a ricordare, mi sembra qualche chilometro…
D: quindi avete dovuto nuotare?
R: si ma avevamo il salvagente. Perché nelle postazioni di combattimento indossavamo sempre il salvagente.
D: e dall’isola?
R: eh, da lì poi ci hanno portati a Massawa, ma dopo qualche ora.
D: ma li sull’isola c’era una batteria costiera?
R: si, avevo fatto domanda di esser mandato lì ma non me l’avevano accettata.
D: comunque sei stato abbastanza fortunato
R: destino! Non era la mia ora.
D: ma tu hai incrociato il comandante del Nullo in qualche occasione?
R: guarda, il comandante era in plancia, ed io ero a poppa
D: perché poi lui è rimasto a bordo
[Breve scambio sulla morte di Borsini e Ciaravolo, scelta che Giovanni Battista Begliatti disapprova ritenendola un sacrificio inutile. Gli viene poi mostrata una cartolina commemorativa dell’affondamento (visibile anche in questa pagina). Riferendosi ad una scialuppa che, nel disegno, si allontana a remi dalla nave che affonda con Borsini e Ciaravolo a bordo:]
R: Ah ah ah! Ridicola! Dove avevamo le scialuppe, su una nave da guerra? È già tanto che avessimo i salvagente, su quelle carrette!”


La morte di Ciaravolo e Borsini nel ricordo del Marinaio Cannoniere Bruno Andorlini:

“Quando ci avvedemmo che il comandante restava a bordo tutti, dai nostri zatterini, lo implorammo di sbarcare, che, tanto, sul Nullo non c’era più nessuno. Ma il comandante non si muoveva dalla plancia. Intanto, pian piano, la nave affondava”.
“E Ciaravolo?” “Era sugli zatterini, con noi. Ma s’era gettato in  mare soltanto dopo averne ricevuto l’ordine dal comandante, un ordine perentorio. Ciaravolo ne sembrò umiliato, tuttavia prese la mano destra del suo comandante e la baciò, e si tuffò. Poi, come tutti noi, incitò il suo comandante a salvarsi. Quando, infine, comprese che il Borsini voleva morire con il Nullo, lasciò lo zatterino, raggiunse a nuoto il caccia e, trovata una scaletta che ancora pendeva da una fiancate, ci si arrampicò. Si diresse subito verso la plancia. Il resto lo ricordo confusamente perché il gesto di Ciaravolo ci aveva sbalordito, in mare tra vivi e morti galleggiavano quasi duecento persone, e il Kimberley, benché avesse invertito la rotta continuava a sparare. D’improvviso un boato tremendo, l’esplosione come di un vulcano, forse una serie concentrata di esplosioni. Istintivamente ci rannicchiammo, ci portammo le mani alla testa per ripararci. Il Nullo? svanito.” 

Ed in quello del marinaio fuochista Giovanni De Martis, che poi visse in Eritrea fino alla fine degli anni ’80:

“Quando ci avvedemmo che il comandante restava a bordo, tutti, dai zatterini –  eravamo oltre duecento –, lo implorammo di scendere, perché, tanto, sul Nullo non c’era più nessuno, non c’era niente da salvare che valesse il sacrificio di una vita. Ma il comandante non si  muoveva, era come assorto nel drammatico gesto che aveva a lungo meditato, una statua di marmo, fermo incrollabile. Da quel momento non lo vidi più. Il suo attendente, un marinaio napoletano, vent’anni appena compiuti, capelli biondosporco, era con noi. Ma a differenza di noi, s’era gettato in mare soltanto dopo aver ricevuto l’ordine perentorio del comandante. E sembrava come se fosse umiliato per quell’ordine. Ma poi, insieme a noi tutti, incitò il comandante a salvarsi. Quando infine comprese che Borsini voleva morire colla sua Nave, con un gesto fulmineo che lasciò tutti noi sbalorditi, si gettò dallo zatterino e con poche bracciate raggiunse il caccia, che ancora pendeva da una fiancata, e ci si arrampicò. Si diresse subito verso la plancia, ma poi non vidi più nulla perché intanto l’incrociatore inglese Kimberley continuava a sparare come un ossesso. Poi, d’improvviso, l’esplosione, come di un vulcano, forse una serie rapidissima e concentrata di esplosioni. Istintivamente ci rannicchiammo” 


Una serie di foto scattate da Lino ed Elena Pellegrini nel 1956 sul relitto del Nullo (da “Ulisse con le pinne” di Lino Pellegrini, Ancanthus Editore):

Una mitragliera contraerea ancora puntata verso il “cielo”…

…una cernia attraversa un oblò…

…mentre altri pesci girano tra i resti della nave.

Elena Pellegrini sopra una scaletta…

…sull’ancora di dritta…

…e sull’estrema prua.

Bruno Andorlini, superstite del Nullo, stabilitosi all’Asmara dopo la guerra, posa insieme ai suoi dipendenti con l’ancora di dritta del Nullo.


Pagina di Wikipedia sul Francesco Nullo

domenica 26 ottobre 2014

Zara (D 14)

La Zara a Brindisi nel 1937 (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net; foto Giemme di Brindisi, autore A. Campassi di Torino)

Incrociatore ausiliario, già motonave passeggeri da 1976,08 tsl, 1074 tsn e 1231 tpl, lunga 81,5 metri e larga 12,2, pescaggio 4,7 m, velocità 14,5 nodi. Appartenente alla società Adriatica, matricola 53 al Compartimento Marittimo di Bari, nominativo internazionale ICOP.
In guerra svolse 330 missioni, tra cui 250 di scorta, 5 di trasporto ed una di posa di mine.

Breve e parziale cronologia.

7 febbraio 1931
Impostata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 246).
4 luglio 1931
Varata nei Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone.
14 settembre 1931
Completata per la Puglia Società Anonima di Navigazione a Vapore, con sede a Bari. Può trasportare 22 passeggeri in prima classe, 24 in seconda e 22 in terza (per altra fonte 82 in tutto); fa parte di una serie di sette motonavi gemelle (tipo «Brioni») costruite dai CRDA per la società Puglia (le altre sono Adriatico, Barletta, Brindisi, Brioni, Lero e Monte Gargano).
Alle prove raggiunge la velocità di 15,8 nodi.
Viene destinata alle linee Adriatico-Dalmazia e Adriatico-Dalmazia-Albania-Epiro.
1932
Trasferita alla Società di Navigazione San Marco (con sede a Venezia), compagnia nella quale il 21 marzo 1932 è confluita con altre compagnie adriatiche la società Puglia, che il 4 aprile cambia nome in Compagnia Adriatica di Navigazione (la Zara risulta formalmente trasferita a quest’ultima compagnia il 25 maggio 1932).
1935
Requisita/noleggiata per trasportare truppe e rifornimenti nel corso della guerra d’Etiopia.
Successivamente, tornata al servizio civile, assegnata alla linea n. 52 (Pireo-isole dell’Egeo-Rodi).
1° gennaio 1937
La compagnia armatrice muta nome in Società Anonima di Navigazione Adriatica. Impiegata sulla linea n. 53 (da Rodi ad Alessandria d’Egitto e ritorno) e sulla n. 43 (Venezia-Trieste-Fiume-Zara-Spalato-Lagosta-Gravosa-Durazzo-Valona-Brindisi-Santi Quaranta-Corfù-Pireo-Izmir-Patmos-Lero-Calino-Coo-Rodi).
1938
Percorre 15 volte la linea numero 43.
1939
Naviga nel solo Adriatico collegandone i diversi porti, con capolinea a Brindisi, alternando il servizio a qualche periodo di sosta.
29 agosto 1939
Requisita alle 15 dal Ministero delle Comunicazioni ed iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come posamine ausiliario.
2 novembre 1939
Derequisita.

La Zara in uscita da Brindisi: sullo sfondo, il Monumento al Marinaio d’Italia (g.c. Giorgio Micoli)

3 novembre 1939
Restituita all’Adriatica, torna in servizio civile tra Italia, Dalmazia ed Albania.
6 dicembre 1939
Assegnata alla linea 43 modificata (Venezia-Brindisi-Pireo), che percorre sino al 9 giugno 1940.
21 aprile 1940
Durante la neutralità italiana la Zara viene fermata per ispezione da navi britanniche, benché si trovi nelle acque neutrali greche.
15 luglio 1940
Requisita a Durazzo dalla Regia Marina ed iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, con sigla D 14. Trasformata in incrociatore ausiliario, armata con due pezzi da 100/47 mm e quattro mitragliere da 13,2 mm. L’equipaggio viene militarizzato; l’unità viene assegnata a compiti di scorta ai convogli.
2 maggio 1941
Assegnato alla scorta dei convogli che, salpando da Taranto e dai porti adriatici italiani, trasportano truppe e materiali in Albania e Grecia.
11 maggio 1941
Alle 3 lo Zara e la torpediniera Giacomo Medici salpano da Brindisi diretti a Valona, di scorta al piroscafo Francesco Crispi carico di truppe e rifornimenti. Il convoglio arriva in porto alle 9.
13 maggio 1941
Zara e Medici lasciano Valona alle 14.45, scortando ancora il Crispi che ora trasporta 700 prigionieri. Le navi arrivano a Brindisi alle 20.30.
16 maggio 1941
Lo Zara e la torpediniera Generale Marcello Prestinari partono da Bari di scorta ai piroscafi Italia, AventinoMilano ed alla motonave Puccini, con truppe e rifornimenti.
17 maggio 1941
Il convoglio arriva a Durazzo a mezzogiorno.
18 maggio 1941
Zara e Medici partono da Valona alle 3.30 dirette a Bari, dove giungono alle 18 scortando i piroscafi ItaliaAventinoPuccini e Milano, con 3900 militari ed un carico di autoveicoli e materiali.
7 giugno 1941
Zara e Medici salpano da Valona scortando la motonave Città di Tripoli ed ai piroscafi Crispi e Galilea. Lo Zara scorta il convoglio fino a Brindisi, poi le altre navi proseguono fino a Bari.
17 giugno 1941
Zara e Prestinari scortano da Brindisi a Valona il piroscafo Argentina e la motonave Viminale, con 963 militari, altro personale della Regia Marina e materiali.
19 giugno 1941
Zara e Medici scortano da Valona a Brindisi Argentina e Viminale, con un carico di materiali delle forze armate.
26 giugno 1941
Zara e Prestinari scortano da Brindisi a Durazzo Italia, Quirinale e Rosandra e la motonave Rossini, che trasportano personale militare con varie destinazioni e 1400 operai militarizzati che rimpatriano.
27 giugno 1941
Zara e Prestinari scortano da Durazzo a Bari RossiniItaliaRosandra e Quirinale con personale e materiale delle forze armate.
30 giugno 1941
Zara e Medici scortano da Bari a Durazzo RossiniAventinoItalia e Quirinale, con truppe e materiali delle forze armate.
1° luglio 1941
Zara e Medici scortano da Durazzo a Bari RossiniAventinoItalia e Quirinale, aventi a bordo 4290 uomini ed un carico di materiali.
10 luglio 1941
Scorta, insieme alla torpediniera Giacomo Medici, i piroscafi Rosandra, Aventino e Milano e la motonave Città di Marsala che trasportano 3580 militari e 1400 operai militarizzati che rimpatriano da Durazzo a Bari.
13 luglio 1941
Lo Zara e la torpediniera Francesco Stocco scortano da Valona a Brindisi RossiniItalia e Quirinale, con truppe e quadrupedi che rimpatriano.
14 luglio 1941
Zara e Stocco scortano da Valona a Brindisi Città di Marsala e Galilea, pure carichi di militari rimpatrianti.
16 luglio 1941
Scorta da Brindisi a Durazzo, insieme alla torpediniera Stocco, i piroscafi RosandraItalia e Quirinale e la motonave Puccini con truppe a bordo.
19 luglio 1941
Zara, Medici e Stocco scortano da Durazzo a Cattaro ItaliaAventinoMilano e Città di Marsala, con truppe e materiali.
16 settembre 1941
Zara e Stocco scortano da Brindisi a Valona la motonave Città di Alessandria, carica di rifornimenti.
18 settembre 1941
Zara e Stocco scortano da Brindisi a Valona il piroscafo Galilea, che trasporta truppe e materiali.
7 ottobre 1941
Scorta da Durazzo a Bari, insieme all’incrociatore ausilario Attilio Deffenu, la motonave Città di Trapani ed i piroscafi Monstella e Quirinale.
19 ottobre 1941
Zara e Medici scortano da Bari a Durazzo RosandraItaliaMilano ed Aventino con personale della Regia Marina e della Regia Aeronautica.
21 ottobre 1941
Zara e Medici scortano RosandraItaliaMilano ed Aventino di ritorno da Durazzo a Bari con 4400 militari che rimpatriano insieme ad autoveicoli, rimorchi ed altri materiali.
23 ottobre 1941
Zara e Medici scortano RosandraItalia ed Aventino che trasportano truppe e rifornimenti da Bari a Durazzo.
25 ottobre 1941
Zara e Medici scortano RosandraItaliaMilano ed Aventino da Durazzo a Bari con 3400 militari rimpatrianti.
29 ottobre 1941
Zara e Medici scortano da Bari a Durazzo RosandraItaliaAventino ed il piroscafo Galilea, carichi di truppe e rifornimenti.

La Zara dopo la trasformazione in incrociatore ausiliario (foto tratta da “Navi mercantili perdute” di Rolando Notarangelo e Gian Paolo Pagano, USMM, Roma 1997)

1° novembre 1941
Zara e Medici scortano RosandraItaliaMilano ed il grosso piroscafo Piemonte con 5400 militari rimpatrianti da Durazzo a Bari.
28 novembre 1941
Zara e Stocco scortano da Bari a Patrasso PiemonteViminale e Galilea, con personale militare diretto in varie destinazioni.
12 dicembre 1941
Zara e Stocco scortano da Patrasso a Bari GalileaPiemonte e Viminale, con 4000 militari rimpatrianti.
2 gennaio 1942
Zara e Stocco scortano i piroscafi Rosandra, Italia e Quirinale, con militari che rimpatriano, da Durazzo a Bari.
4 gennaio 1942
Zara e Stocco scortano da Bari a Durazzo RosandraItalia e Quirinale carichi di truppe e materiali.
16 marzo 1942
Lo Zara, insieme all’incrociatore ausiliario Arborea ed al vecchio cacciatorpediniere Augusto Riboty, scorta da Durazzo a Bari la la motonave Donizetti ed i piroscafi RosandraCittà di Catania e Quirinale, che trasportano truppe rimpatrianti.
29-31 marzo 1942
All’alba del 29 marzo lo Zara, al comando del capitano di fregata Luigi Martini (che sta per prendere il mare per scortare un convoglio in procinto di partire), riceve dal Comando Militare Marittimo della Morea (Marimorea) l’ordine urgentissimo di partire da Patrasso e recarsi soccorrere i naufraghi del trasporto truppe Galilea, silurato la notte precedente, mentre procedeva in convoglio da Patrasso a Bari, dal sommergibile britannico Proteus, ed affondato nel punto 04°93’ N e 20°05’ E. Tutto l’equipaggio viene svegliato alle 5.20, alle 5.45 la nave molla gli ormeggi ed alle 5.53 prende il mare, dirigendo a tutta forza su Capo Papas, che viene superato senza l’ausilio della pilotina (a regola questo vi dovrebbe essere, ma la pilotina non c’è); alle 7.20 lo Zara dirige verso ovest, percorrendo le rotte dragate ed arrivando al largo di Capo Dukato alle 10.26. Alle 12.20 l’incrociatore ausiliario avvista due aerei (uno della Croce Rossa) che esplorano il luogo del disastro, ed un piccolo veliero che, proveniente da Paxo, sta dirigendo verso il largo; alle 12.35 viene avvistata anche la torpediniera Antonio Mosto, che, appositamente distaccata dalla scorta del convoglio, ha tratto in salvo 187 uomini del Galilea. Alle 12.55 lo Zara avvista in rapida successione anche i motopescherecci Antonia Madre ed Avanguardista, parimenti impegnati nella missione di ricerca e soccorso (hanno tratto in salvo 33 uomini), ed infine, alle 13.37, nel punto 39°04’ N e 20°05’ E, parecchi rottami e poi alcuni corpi senza vita, sorretti dai giubbotti salvagente. La Mosto si avvicina a portata di voce e riferisce di aver recuperato tutti i sopravvissuti, chiedendo poi se ci siano ordini per lei; lo Zara risponde negativamente, e la Mosto replica che rientrerà a Prevesa per sbarcare i naufraghi. Il comandante Martini domanda quanti siano gli uomini tratti in salvo, e la Mosto replica che sono 220, inclusi 33 recuperati dai pescherecci, che ha già perlustrato tutta l’area, e che non c’è più nessuno da salvare. Mosto, Antonia Madre ed Avanguardista si allontanano e l’aereo della Croce Rossa scompare alla vista, mentre lo Zara controlla con attenzione il tratto di mare a nord del luogo del disastro, avvistando ed avvicinando in successione le scialuppe numero 4 e numero 6 del Galilea, che vengono trovate vuote, poi tre zatterini Carley sparsi, parecchi altri zatterini e la scialuppa n. 5 del Galilea, anch’essa vuota. Sono sempre di più, invece, i cadaveri tenuti a galla dai salvagente.
Alle 14.03, nel punto 39°10’ N e 19°58’ E, il secondo capo cannoniere Giuseppe Toscano avvista uno zatterino sul quale si trova un alpino, steso bocconi e nudo dalla cintola in giù, ma con ancora indosso la giubba ed il cappello: pur essendo immobile e sembrando un cadavere, lo Zara gli si avvicina con cautela, finché il “cadavere” chiede aiuto. A questo punto la nave cala immediatamente un’imbarcazione che, nonostante il mare da Scirocco, ed alle 14.09 prende a bordo l’alpino, che si chiama Ugo Pittin, friulano, di ventun anni (ma questo lo si saprà solo alle 7.30 del 31 marzo, quando si sarà ripreso abbastanza da poter essere interrogato): si tratta dell’ultimo superstite del Galilea a venire tratto in salvo, e sarà anche, purtroppo, l’unico salvato dallo Zara.
Viene visto anche il relitto di un aereo della Croce Rossa di Brindisi che ha cappottato nel tentativo di ammarare durante i soccorsi, e del quale affiorano la carlinga con la coda ed i timoni di profondità rotti; la lancia dello Zara, dopo aver salvato Pittin, procede nel mare di corpi galleggianti (che può evitare solo con apposite manovre) e rottami in direzione del relitto, che alle 14.27 si rivela essere l’aereo 45255. La porta è spalancata, ma non si vedono né superstiti né cadaveri. Il comandante Martini valuta la possibilità di prendere l’aereo a rimorchio, ma, date le condizioni del mare e la necessità di proseguire le ricerche, decide altrimenti e prosegue verso nord, continuando ad ispezionare il mare. Alle 14.34 l’incrociatore ausiliario raggiunge la lancia numero 9 del Galilea, vuota, e subito dopo la numero 10, capovolta. Poco più lontano si vede un’ulteriore lancia semisommersa, che riaffiora secondo il moto ondoso, e non risulta possibile capire se contenga salme. La nave continua la perlustrazione, procedendo tra rottami, zatterini e cadaveri, sino a giungere in posizione 39°15’ N e 20°00’ E, dove non si vedono più, neanche con attenta osservazione con cannocchiale, rottami, salme, zattere od imbarcazioni. Lo Zara inverte pertanto la rotta e torna nella zona già percorsa, rimettendosi a perlustrarne le acque. Alle 15.12 l’incrociatore ausiliario raggiunge la lancia numero 3, del Galilea, allagata e con tre cadaveri a bordo; questi vengono esaminati dal medico di bordo, che conclude che sono morti per annegamento. Poco più in là, nel punto 39°08’ N e 20°02’ E, viene avvistata la lancia di servizio del Galilea, vuota, tra tutte quella che galleggia meglio, il che induce il comandante Martini a ritenere che si tratti del limite della deriva raggiunto dai rottami dell’affondamento. La perlustrazione prosegue, e la nave raggiunge una zona costellata da grandi e dense chiazze di nafta, che in alcuni punti affiorano come bolle, e di cadaveri in numero molto maggiore di quelli visti finora, anch’essi con indosso i salvagente. Alle 15.24 lo Zara esce dalla chiazza; non sono in vista altri corpi. Martini ordina allora all’equipaggio il saluto ai caduti.
La nave procede poi verso sud nella sua esplorazione, ed alle 15.58, nel punto 39°04’ N e 20°05’ E, attraversa una zona particolarmente “densa” di salme, manovrando per avvicinarvisi senza danneggiarle. A differenza dei corpi trovati finora, che avevano quasi tutti testa e gambe sott’acqua, questi sono in maggioranza ritti ed hanno il viso affiorante; alcuni hanno un’espressione che fa pensare allo strangolamento, ma altri sembrano stare riposando, e si spera che qualcuno possa essere ancora vivo, perciò, alle 16, nonostante il mare ed il vento in considerevole peggioramento, lo Zara cala nuovamente la lancia, con equipaggio volontario (capo carpentiere militarizzato di seconda classe Vincenzo Gaudosio e marinai militarizzati Giovanni Cassano, Gaetano Capriati, Francesco Capriati e Sergio Annese), che inizia a controllare i corpi in un raggio di 800 metri. Sforzo vano: sono tutti morti. Alcuni altri corpi, che quasi rasentano il bordo, danno una maggiore impressione di non essere deceduti, e, mentre il medico di bordo sta venendo consultato per sapere se si tratti appunto solo di un’impressione errata, il sergente torpediniere Mario Ritossa, senza chiedere niente a nessuno, si getta impulsivamente in mare vestito per raggiungere un corpo che più degli altri sembra ancora vivo, e che si trova quasi sotto la poppa. Il corpo viene recuperato, ma si rivela essere solo un cadavere; al pari di Ugo Pittin, non ha targhette identificative (risulta così non identificabile), ed indossa solo una giacca e una maglietta. Nelle tasche della giacca vengono rinvenute una stilografica, una nota di spese per l’acquisto di giornali e bolli per ufficiali e sottufficiali, ed un preservativo.
Alle 16.27 lo Zara s’imbatte in un MAS, che passa di controbordo, e poco dopo in tre pescherecci; alle 18.30, quando il comandante Martini ha deciso di tornare a Patrasso (avendo recuperato solo Pittin ed il cadavere non identificato, ma senza più serie possibilità di poter trovare qualcuno ancora in vita), l’unità riceve l’ordine di proseguire le ricerche (ormai è l’unica nave rimasta a cercare eventuali, ormai improbabili, sopravvissuti). Martini fa notare a Marimorea che ormai dista poche miglia da Patrasso, e che oltre all’equipaggio ci sono a bordo 37 uomini che avrebbe dovuto trasportare in Italia e che, nella fretta della partenza, non è stato possibile sbarcare. Alle 21.55, tuttavia, giunge l’ordine di continuare le ricerche. Il tempo rimarrà pessimo anche il 30 marzo.
Alle 10.30 del 30 marzo lo Zara avvista di nuovo il relitto dell’aereo della Croce Rossa, un po’ più sommerso rispetto al giorno precedente, e poco dopo un largo graticcio grigio cenerino, sul cui bordo è steso bocconi, penzolante nell’acqua, cianotico, tumefatto e nudo dalla cintola in giù, il cadavere di un soldato. La visibilità rimane molto scarsa tutto il giorno, ma alle 17 sparisce completamente, ed alle 19.06 viene finalmente ricevuto un cifrato che ordina di tornare a Patrasso (infatti la ricognizione aerea non è più riuscita a trovare nulla nel raggio di 50 miglia da Capo Kefali). Alle 20 lo Zara fa rotta su Patrasso, alle 24 passa al traverso dell’estremità meridionale dell’isola di Antipaxo, ed alle 4 del 31 marzo – mentre il mare, sempre grosso, sembra lentamente migliorare – doppia Capo Dukato. Alle 7.23 l’incrociatore ausiliario incrocia il rimorchiatore militare Teseo, che passa di controbordo, e, guidato da una pilotina, raggiunge il punto prestabilito «Z», da dove alle 7.45 riprende la navigazione a tutta forza, arrivando a Patrasso alle 9. Superate le ostruzioni alle 9.09, lo Zara si ormeggia con due ancore al lato settentrionale del Molo San Nicolò alle 9.24.
Nel suo rapporto il comandante Martini, oltre ad auspicare un accordo per la protezione internazionale su simili missioni di soccorso, elogia la condotta dell’equipaggio ed anche dei 37 uomini di passaggio nelle operazioni di soccorso, in particolare dell’equipaggio volontario della lancia calata per verificare se tra i corpi vi fosse qualcuno ancora in vita ed il secondo capo cannoniere Giuseppe Toscano, autore dell’avvistamento che ha permesso il salvataggio di Ugo Pittin e che per primo si è accorto che fosse ancora vivo (il sergente Marco Ritossa non riceve eguale elogio perché, pur avendo dimostrato coraggio ed altruismo con il suo gesto, ha al contempo mostrato mancanza di calma nel non attendere un ordine da parte di un superiore).
I morti del Galilea saranno 995, i sopravvissuti solo 319.
2 agosto 1942
Zara, Medici ed il cacciatorpediniere Sebenico scortano da Bari a Durazzo la motonave Donizetti ed il piroscafo Quirinale.
7 agosto 1942
Zara e Stocco scortano da Bari a Patrasso la motonave Donizetti, con a bordo truppe e rifornimenti.
13 settembre 1942
Zara, Stocco, Mosto ed il cacciatorpediniere Premuda scortano da Bari a Durazzo i piroscafi RosandraChisone e Quirinale con truppe e rifornimenti.
10 ottobre 1942
Stocco e Zara scortano da Bari a Valona i piroscafi Cesco ed Aventino, che trasportano truppe e materiali.
La nave negli anni Trenta (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net)

L’affondamento

Lo Zara salpò da Brindisi per l’ultima volta all’una del pomeriggio del 29 ottobre 1942, al comando del tenente di vascello Domenico Mazza, carica di benzina in fusti per l’Afrika Korps. La nave, insieme alla gemella Brioni (carica di munizioni), era diretta a Tobruk per una missione di rifornimento.
Zara e Brioni attraversarono il Canale di Corinto ed arrivarono al Pireo alle quattro del mattino del 1° novembre, ma sostarono nel porto ellenico solo un’ora e mezza, prendendo nuovamente il mare alle 5.30 dirette in Cirenaica.
Alle 16.30 dello stesso giorno (dopo aver effettuato, forse, anche uno scalo a Suda), a nord di Creta, le due navi vennero raggiunte dalla vecchia torpediniera San Martino, loro assegnata quale scorta, seguita poco dopo anche da una consistente scorta aerea costituita da due bombardieri Junkers Ju 88, due caccia Messerschmitt Bf 110 tedeschi e due caccia Macchi C. 202 (del 13° Gruppo del II Stormo della Regia Aeronautica) italiani. Era capo convoglio il capitano di corvetta Enrico Dedero, del Brioni.
Mentre Zara e Brioni navigavano ignare tra Creta e la Cirenaica, i decrittatori britannici di “ULTRA” informarono i comandi britannici di quanto avevano decifrato da messaggi italiani intercettati: cioè che i due incrociatori ausiliari, partiti dal Pireo alle 14 del 1° novembre, erano diretti a Tobruk alla velocità di 13 nodi, con arrivo previsto per le 16 del 3 novembre.
Alle 18.30 il convoglio venne avvistato da alcuni bombardieri alleati che avevano bombardato l’aeroporto di La Canea a Creta, ed alle 23 furono le navi italiane ad avvedersi di essere seguite da un ricognitore nemico, che le seguì sino alle due di notte del 2 novembre, illuminandole con razzi e bengala prima di andarsene.
Nel corso della notte diversi bengalieri tentarono infruttuosamente di localizzare il convoglio, che proseguì senza incidenti, ed all’alba le navi incrociarono alcuni aerei da caccia dell’Asse, mentre parecchi aerei da trasporto, pure dell’Asse, procedevano sulla stessa rotta delle navi.
Verso le nove (le otto per altra fonte) del mattino del 2 novembre, però, venne avvistata una formazione di aerei che volavano molto bassi, ad est del convoglio, provenienti dall’Egitto: erano sette aerosiluranti Bristol Beaufort del 39th Squadron della Royal Air Force, guidati dal tenente colonnello Larry Gaine, scortati da caccia Bristol Beaufighter del 272nd Squadron RAF, inviati ad attaccare il convoglio. Erano decollati dall’aeroporto LG 227 di Gianacilis , in Egitto, situato 22 miglia a sud/sudest di Alessandria, a seguito di una richiesta inviata dal tenente colonnello Slaughter del 203rd Squadron RAF, che, da un ricognitore Martin Baltimore, aveva chiesto un attacco di aerosiluranti contro il convoglio composto da Zara, Brioni e San Martino, localizzato con rotta 170° e velocità 7 nodi nel punto 33°13’ N e 23°55’ E.
Quando avvistarono le navi, i Beaufort si divisero in due gruppi: uno, di tre aerei, attaccò il Brioni dal lato di dritta, l’altro, di quattro, si lanciò contro lo Zara. Intanto, i Beaufighter ingaggiarono la scorta aerea per impedirle di interferire con l’attacco degli aerosiluranti.
Uno dopo l’altro, in breve tempo, aprirono il fuoco il Brioni, che evitò tre siluri con la manovra ed abbatté un aereo (il Beaufort DD937, del sottotenente Oscar M. Hedley), poi la San Martino e per ultimo lo stesso Zara. Anche la scorta aerea (cui si erano aggiunti dei caccia Messerschmitt Bf 109 del JG. 53 della Luftwaffe ed altri caccia Macchi C. 200) reagì, dando vita ad una battaglia aerea che si concluse, come sempre, con opposte rivendicazioni: da parte italo-tedesca, tre Beaufort abbattuti e tre danneggiati (il tenente Giorgio Savoia rivendicò un Beaufighter abbattuto ed uno danneggiato, il capitano Guglielmo Arrabito dell’82a Squadriglia, equipaggiata con Macchi C. 200, rivendicò un Beaufighter danneggiato, il sergente magiore Filippo Baldin della stessa squadriglia asserì di aver abbattuto un Beaufighter e danneggiato un altro, il tenente Hermann Munzert dello JG. 53, su un Bf 109, rivendicò l’abbattimento di un Beaufighter); da parte britannica, uno Ju 88 abbattuto ed uno danneggiato. La RAF riferì poi di aver subito la perdita, nell’azione, di due Beaufort (quello del sottotenente Hedley, abbattuto alle 9.26, subito prima che lo Zara fosse colpito, con totale perdita dell’equipaggio di 5 uomini; e quello del maggiore Kenneth Robinson Grants, il DD873, colpito dalla contraerea delle navi alle 9.24 ed ammarato sette miglia a proravia del convoglio, nel punto 33°11’ N e 23°12’ E; un membro dell’equipaggio rimase ucciso, gli altri, compreso Grants, abbandonarono l’aereo su un battellino e furono fatti prigionieri) e di un Beaufighter (per avaria al motore).
Nonostante tutto, gli aerosiluranti si avvicinarono a sufficienza da poter lanciare (il tenente colonnello Gaine pilotò il suo aereo direttamente contro il bersaglio, senza neanche tentare manovre evasive per evitare il fuoco contraereo), ed alle 9.20 (8.15 per altra versione) lo Zara fu colpito a centro nave da un siluro, che uccise tre uomini che erano in servizio di guardia (per altra fonte morirono un ufficiale, due sottufficiali ed un marinaio) e danneggiò gravemente la nave, lasciandola immobilizzata nel punto 33°10’ N e 23°50’ E. Vicino alla nave immobilizzata galleggiavano i rottami in fiamme dell’aereo abbattuto dal Brioni.
Al termine dell’attacco, però, lo Zara, dal quale si levava una colonna di fumo alta più di 900 metri, galleggiava ancora, e, mentre la Brioni proseguiva da sola verso Tobruk (dove giunse indenne poche ore dopo solo per essere affondata poco più tardi da un bombardamento, prima ancora, per singolare coincidenza, che la Zara affondasse definitivamente), la San Martino si fermò a dare assistenza e, alle 10.40, prese a rimorchio la motonave danneggiata. Alle 15.40 sopraggiunse da Tobruk la torpediniera Circe, inviata per scortare le due navi, ma le condizioni dello Zara andarono via via aggravandosi.
Verso le 18 (le 20 per altra fonte), un centinaio di miglia a nord di Tobruk, l’incrociatore ausiliario iniziò a sbandare in maniera sempre più marcata ed ad affondare sempre più in fretta: alle 18 si rese necessario tagliare i cavi di rimorchio, mentre l’equipaggio abbandonava la nave. Intorno alle 22.30 lo Zara affondò nel punto 32°37’ N e 23°50’ E, ad una cinquantina di miglia da Tobruk.
L’equipaggio della nave, ad eccezione dei tre uomini deceduti nel siluramento, venne recuperato al completo da Circe e San Martino, che sbarcarono i naufraghi a Tobruk il 3 novembre 1942. Gli uomini dello Zara vennero poi rimpatriati con aerei decollati da Derna. La società Adriatica, con l’avviso della derequisizione e perdita della propria nave (delle sette gemelle costruite dai CRDA, ormai restavano solo Brindisi e Barletta, anch’esse destinate ad andare perdute), ricevette anche l’invito di sbrigare le pratiche di abbandono “con cortese urgenza”, visto che la Zara non era assicurata contro i danni bellici.


Morirono nel siluramento:

Ugo Benfante, terzo ufficiale di macchina

Giuseppe Granata, motorista

Leonardo Ricco, capo fuochista


Un’altra immagine della Zara in tempo di pace (da www.modellismopiu.it)