giovedì 29 gennaio 2015

Foca

Il varo del Foca (da www.xmasgrupsom.com)

Sommergibile posamine classe Foca (dislocamento 1333,04 tonnellate in superficie, 1659,44 in immersione). Fu il capoclasse della prima classe di sommergibili posamine della Regia Marina che finalmente riuscì ad unire ad eccellenti prestazioni (a differenza delle precedenti classi X 2 e Bragadin) e costi non esorbitanti (a differenza del precedente Pietro Micca).
Effettuò in guerra tre sole missioni, percorrendo complessivamente 2063 miglia in superficie e 293 in immersione in 13 giorni di navigazione.

Breve e parziale cronologia.

Il sommergibile pronto al varo (da “Sommergibili italiani fra le due guerre mondiali” di Alessandro Turrini, Maristat/UDAP, 1990, via www.betasom.it)

15 gennaio 1936
Impostazione nei cantieri Franco Tosi di Taranto.
27 giugno 1937
Varo nei cantieri Franco Tosi di Taranto. È madrina del battello la moglie di un capo operaio dell’Arsenale di Taranto, decorato con stella al merito del lavoro.

Un’altra immagine del varo (da “Gli squali dell’Adriatico. Monfalcone e i suoi sommergibili nella storia navale italiana” di Alessandro Turrini, via www.betasom.it)

6 novembre 1937
Entrata in servizio. Insieme ai gemelli Atropo e Zoea viene assegnato alla XLV Squadriglia Sommergibili (Gruppo Sommergibili di Taranto), cui appartengono anche gli altri sommergibili posamine della Regia Marina (Pietro Micca, Marcantonio Bragadin, Filippo Corridoni, X 2 e X 3).
Tra i suoi primi comandanti vi è il tenente di vascello Gino Birindelli, futura Medaglia d’oro al Valor Militare.
In tempo di pace svolgerà intensa attività d’addestramento ed esercitazioni di posa mine con ordigni inattivi.
Estate 1939
La XLV Squadriglia diventa, a seguito della costituzione del Comando Squadra Sommergibili, la XLVIII Squadriglia Sommergibili.
Successivamente il Foca, insieme al Pietro Micca, viene assegnato alla XV Squadriglia Sommergibili (poi XVI Squadriglia) del I Grupsom, di base a La Spezia.
Inizio 1940
Assume il comando del Foca il capitano di fregata Vittorio Meneghini.
Primavera 1940
Il capitano di fregata Meneghini viene trasferito sul più grande sommergibile Pietro Micca, e viene rimpiazzato al comando del Foca dal capitano di corvetta Mario Ciliberto. (Per altra fonte, Ciliberto avrebbe assunto il comando del Foca dal 16 febbraio 1939).
10 giugno 1940
Alla data dell’entrata in guerra dell’Italia, il Foca (capitano di corvetta Mario Ciliberto) forma insieme al Micca la XVI Squadriglia del I Gruppo Sommergibili, di base a La Spezia.
13 giugno 1940
Secondo alcune fonti, in questa data il Foca stava posando mine, stando in superficie, al largo di Alessandria, quando venne attaccato a cannonate dai cacciatorpediniere britannici Decoy e Voyager (in missione di ricerca antisommergibile insieme ad altri due cacciatorpediniere, lo Stuart ed il Vampire), che lo costrinsero all’immersione, dopo di che il Voyager (capitano di fregata Morrow) lo sottopose a bombardamento con cariche di profondità, senza tuttavia riuscire a danneggiarlo.
In realtà, la prima missione del Foca risulterebbe essere quella del 27 agosto 1940; il sommergibile oggetto dell’attacco di Decoy e Voyager dovrebbe essere in realtà stato il Pietro Micca, che fu effettivamente inviato a posare 40 mine al largo di Alessandria la notte del 12 giugno e che rimase poi in agguato nei pressi, rilevando notevole attività antisommergibile.

Il Foca rientra a Taranto nel 1940 (da “Sommergibili in guerra” di Achille Rastelli ed Erminio Bagnasco, Albertelli Edizioni, 1994, via www.betasom.it)

27 agosto 1940
Lascia Taranto al comando del capitano di corvetta Ciliberto per una missione di trasporto di rifornimenti (armi, carburante e provviste) alla base di Portolago, nell’isola di Lero (Dodecaneso).
10 settembre 1940
Riparte da Lero alle 23.50 per tornare a Taranto, con un nuovo carico di materiali e munizioni sistemati nella camera mine.
11 settembre 1940
Effettua un’immersione rapida alle 5.45 e viaggia a 40 metri di profondità sino alle 18.55, quando riemerge e prosegue in superficie (con mare e vento forza 3 da sudovest) verso il canale di Cerigo, ricambiando l’aria e ricaricando le batterie.
12 settembre 1940
Attraversa il canale di Cerigo alle cinque e s’immerge con la rapida alle 5.40, procedendo immerso a 40 metri sino alle 19, quando riemerge per ricaricare le batterie, cambiare l’aria e proseguire con i motori diesel in superficie (mare e vento sono forza 4 da ovest).
13 settembre 1940
Alle 2.45 accosta per cambiare rotta ed alle 6 s’immerge con la rapida a 30 metri, per poi proseguire immerso sino alle 13, quando, giunto fuori dalle zone dov’è d’obbligo la navigazione occulta, riemerge e prosegue in superficie (mare e vento sono forza 4 da nordovest), di nuovo cambiando aria e ricaricando le batterie.
14 settembre 1940
S’immerge alle 5.40 scendendo a 30 metri, quota alla quale prosegue sino alle 19, quando emerge e si dirige a lento moto verso l’atterraggio di Santa Maria di Leuca.
15 settembre 1940
Arriva al punto A di Santa Maria di Leuca alle 5.30, quando gli viene comunicato dal semaforo un telegramma su incontri con navi italiane. Segue poi le rotte costiere ed alle 6.20 dirige per Taranto; dopo aver incontrato alle 9 i motopescherecci Perseo ed Orata, il Foca arriva alle 12.55 nel punto «A» di San Vito, dove si fa riconoscere dalla nave pilota prima di entrare in Mar Grande.
Alle 13.36 il battello si ormeggia alla banchina sommergibili in Mar Piccolo.

Il Foca visto di poppa (g.c. Danilo Vannucci, da www.sommergibilefoca.it)

La scomparsa

Al tramonto del 1° ottobre 1940 il Foca lasciò Taranto al comando del capitano di corvetta Mario Ciliberto, per una missione di posa di mine al largo dell’importante porto e base navale di Haifa, in Palestina, costruita nel 1933 ed utilizzata Royal Navy (la Palestina era sotto mandato britannico, come gran parte del Medio Oriente, e le merci provenienti dai territori mediorientali sotto controllo britannico confluivano tutte verso Haifa). Sarebbe dovuta essere la sua terza missione di guerra.
Uno dei membri, il secondo capo cannoniere Antonio Diana, arruolatosi in Marina undici anni prima, aveva da poco salutato la giovane moglie Angela, che aveva sposato appena un anno prima, dopo averle consegnato la sua ultima paga, tranne venti centesimi per il giornale, e la fede nuziale, che intendeva donare a Sant’Antonio quale ringraziamento al ritorno dalla missione. Era tranquillo, fiducioso sia nella protezione di Sant’Antonio che nella potenza della flotta subacquea italiana, la più grande al mondo.
Un altro militare di carriera, il marinaio elettricista di prima classe Gualtiero Vannucci, era imbarcato sul Foca dal 30 novembre 1938, e lo considerava il “suo” sommergibile.

L’indomani, superata Crotone, il sommergibile doppiò Capo Colonne e fece rotta su Alessandria d’Egitto, per portarsi nel punto prestabilito dal Comando Sommergibili (Maricosom), ossia 33°30’ N e 30°00’ E, cento miglia a nord di Alessandria, da dove sarebbe proseguito con rotta est verso la baia di Haifa.
In base all’ordine d’operazione numero 102 – ricevuto da Roma il 28 settembre –, il Foca sarebbe dovuto giungere nel punto assegnato (32°49’36” N e 34°49’51” E) il 13 od il 14 ottobre, avvicinandosi alla zona assegnata verso l’alba, ed avrebbe dovuto posare 20 mine modello TV 200/800 (prodotte dalle Officine Franco Tosi, aventi ciascuna un peso di una tonnellata, di cui 200 kg di tritolo fuso) a partire dal punto a 6 miglia per 267° dal faro di Capo Carmelo (Palestina) e procedendo poi lungo la direttrice 350°. Una prima fila di sei mine avrebbe dovuto essere posata con un intervallo di 50 metri tra ciascun ordigno, poi il sommergibile avrebbe dovuto lasciare uno spazio vuoto di 500 metri prima di posare la seconda e la terza spezzata, rispettivamente di sei ed otto mine, anch’esse distanziate tra di loro di 500 metri e con le mine di ogni spezzata a 50 metri l’una dall’altra. Le mine sarebbero state posizionate ad una profondità di quattro metri, su fondali profondi un centinaio di metri.
Oltre alle 20 mine destinate allo sbarramento di Haifa (e sistemate nelle camere mine), il Foca ne trasportava nei tubi orizzontali altre 16 – così trovandosi con un pieno carico di ordigni – non armate, con le quali avrebbe dovuto compiere delle prove (posa di sbarramenti “sperimentali” di controllo, da svolgersi entro 48 ore dalla conclusione della missione in un settore designato dal IV Gruppo Sommergibili in accordo con Marina Taranto e per verificare il comportamento delle fiale degli urtanti quando sistemate su ordigni collocati nei tubi orizzontali) durante la navigazione di ritorno, che sarebbe avvenuta lungo le stesse rotte dell’andata. Era prevista anche, come obiettivo secondario, la possibilità di attaccare navi nemiche che fossero state individuate durante la navigazione.
Tra andata e ritorno, il battello avrebbe dovuto percorrere oltre 2000 miglia (di notte in superficie, di giorno in immersione; l’ultimo tratto interamente in immersione e con i motori elettrici, per non essere avvistato da ricognitori britannici che avrebbero vanificato la missione); durante tutto il viaggio avrebbe dovuto mantenere un totale silenzio radio. La missione era stata programmata in modo da coincidere con il plenilunio (che vi sarebbe stato nella notte tra il 15 ed il 16 ottobre), così da rendere più facile, per il Foca, avvistare eventuali minacce durante la notte.
Contestualmente al Foca, in base allo stesso ordine d’operazione, prese il mare anche il gemello Zoea, con il compito di posare un campo minato al largo di Jaffa (oggi Tel Aviv).

Il sommergibile in un’immagine dell’Almanacco Navale del 1942 (g.c. Giuseppe Garufi via www.xmasgrupsom.com)

Il 14 ottobre il Comando in Capo della Squadra Sommergibili informò Marina Bengasi che il 17 ottobre il Foca sarebbe dovuto passare, provenendo da est e diretto a nordovest, una quindicina di miglia a nordest di Ras el Tin. L’arrivo a Taranto era previsto per il 23 ottobre, preceduto di un giorno dallo Zoea.
Ma il Foca non passò mai al largo di Ras el Tin, né tantomeno giunse a Taranto nella data prevista od in seguito.
Il 22 novembre 1940 Maricosom segnalò al comando del IV Gruppo Sommergibili di Taranto che un altro sommergibile, il Brin, riteneva di aver avvistato il Foca fuori dalle ostruzioni della base di Taranto, ma doveva purtroppo trattarsi di un errore.
Il 5 giugno 1941 la Direzione Generale del Personale e dei Servizi Militari del Ministero della Marina contattò la Croce Rossa Italiana asserendo che rappresentanti diplomatici di due non precisati Stati neutrali avevano affermato verbalmente che il Foca fosse stato catturato con tutto l’equipaggio, e che da parte nemica si fosse taciuta la notizia. Nel sollecitare la CRI a svolgere indagini in merito, il Ministero della Marina allegò l’elenco dell’equipaggio del Foca. Ma le “voci” dei “rappresentanti diplomatici” erano infondate.
Del Foca e dei 69 uomini del suo equipaggio non si seppe più nulla. Come data di morte presunta dei membri dell’equipaggio fu indicato il 23 ottobre 1940, data del mancato rientro alla base.
Il giorno dopo, la moglie del comandante in seconda Mario Della Cananea, Angelina Liuzzi – i due erano sposati solo da nove mesi –, diede alla luce il figlio della coppia, Franco.

Su 26 sommergibili italiani perduti in Mediterraneo senza superstiti, il Foca, insieme al più piccolo Smeraldo, rimane uno dei due soli battelli per i quali nemmeno l’analisi postbellica degli archivi alleati abbia portato all’individuazione di una causa plausibile per il loro affondamento. Nessuna nave od aereo britannico reclamò l’affondamento o danneggiamento di un sommergibile nemico in luogo e data compatibili con quelle della scomparsa del Foca.
Si può solo supporre che il Foca sia rimasto vittima degli stessi ordigni per posare i quali era nato: le mine. Appare verosimile che ciò sia avvenuto tra il 12 ed il 15 ottobre 1940 (forse il 13 ottobre).
Se il sommergibile sia saltato su uno sbarramento difensivo britannico (che però, secondo alcune fonti britanniche, non sarebbe all’epoca stato presente nelle acque di Haifa), oppure sia rimasto vittima della detonazione accidentale di una delle proprie mine durante la posa (come potrebbero far sospettare analoghi incidenti, sebbene privi di gravi conseguenze, occorsi ai gemelli Atropo e Zoea) non è purtroppo dato sapere.
Dopo la perdita del Foca e gli incidenti occorsi ad Atropo e Zoea, constatata la scarsa efficienza ed elevata pericolosità dei modelli di mina per sommergibile in uso, si decise di abbandonare il minamento occulto subacqueo. Atropo e Zoea vennero impiegati come sommergibili da trasporto per il resto del conflitto.

Scomparvero con l’unità:

Franco Abaini, comune
Luigi Argellati, comune
Augusto Battistoli, comune
Ferruccio Bianchi, capo di seconda classe
Giovanni Bottigni, comune
Felice Brunetti, comune
Mario Calamini, secondo capo
Federico Capovilla, comune
Pellegrino Cerreto, comune
Antonio Cheli, comune
Mario Ciliberto, capitano di corvetta (comandante), 36 anni, da Crotone
Alfredo Consiglieri, comune
Oronzo Coppi, secondo capo
Walter Corazza, comune
Bruno Coridi, secondo capo
Alfredo Cozzolino, comune
Gian Mario Crippa, comune
Giuseppe D’Adelfio, comune
Mario della Cananea, tenente di vascello, 30 anni, da Teramo
Antonio Diana, secondo capo cannoniere, 27 anni, da Villasimius
Tommaso Digosciu, capo di prima classe
Riccardo Doglio, sottocapo
Livio Dogliotti, sottocapo
Angelo Dringoli, comune
Luigi Emanuelli, capitano del Genio Navale
Demetrio Favaro, secondo capo
Giuseppe Gennaro, comune
Aurelio Ghirardi, sottocapo
Silvio Girardi, sottocapo
Osvaldo Gori, comune
Carlo Landi, comune
Omero Landucci, capo di prima classe
Ugo La Spada, guardiamarina
Egisto Magni, comune
Paride Maioli, comune
Giuseppe Malandrino, sergente
Attilio Masi, sergente
Fiorenzo Natali, sergente
Domenico Olivieri, secondo capo
Mario Paderni, comune
Gaetano Pagano, comune
Lino Pareto, comune
Ernesto Pastorelli, sottotenente di vascello
Sebastiano Peluso, sergente
Galeazzo Perduca, secondo capo
Francesco Pianeta, comune
Gaetano Picazio, secondo capo
Salvatore Picone, comune
Pietro Pignati, comune
Amedeo Pini, capo di seconda classe
Giovanni Pirino, capo di seconda classe, 36 anni, da Sassari
Renato Pisani, sottotenente di vascello
Mario Preziosi, comune
Giuseppe Prisco, comune
Diego Romeo, comune
Sarno Rossi, comune
Antonio Rutigliano, comune
Carmine Salernitano, comune
Mario Sassoli, secondo capo
Ciro Schiavone, comune
Severino Scoccabarozzi, sottocapo
Elio Signoracci, comune
Giuseppe Spano, sottocapo
Adriano Trento, sottotenente del Genio Navale
Angelo Torrisi, comune
Angelo Traverso, comune
Gualtiero Vannucci, comune elettricista, 20 anni, da Arezzo
Vincenzo Vastola, sottocapo
Domingo Volpari, sottotenente del Genio Navale

Un’altra immagine del Foca (g.c. Gruppo di Cultura Navale)

Il comandante Ciliberto lasciò la giovane moglie Maria, che aveva sposato proprio nel giugno 1940, pochi giorni prima di partire per la guerra. Gli fu conferita la Medaglia d’argento al Valor Militare alla Memoria, con la seguente motivazione:

“Comandante di sommergibili posamine  effettuava la posa di tre sbarramenti in acque particolarmente pericolose e sorvegliate dal nemico, dimostrava elevate doti di tenacia e coraggio. Nell’adempimento del proprio dovere scompariva in mare, sacrificando, con estrema dedizione, la propria esistenza alla Patria.”

Negli anni ’70 Crotone ha intitolato un istituto tecnico nautico alla memoria del comandante Ciliberto, e nel 2001 anche una piazza della città (Piazza Mario Ciliberto).

Il capitano di corvetta Mario Ciliberto, affondato con il Foca (g.c. Giovanni Pinna)

Nell’agosto 2016, il subacqueo belga Jean-Pierre Misson ha annunciato di aver “ritrovato” il relitto del Foca nelle acque di Ras el Hilal, sulla costa libica, “identificandone” il relitto da un’immagine sonar da lui ottenuta nel 2012. La notizia, molto inopportunamente, è stata ripresa e diffusa da alcuni media locali, in particolare i giornali “Il crotonese” e “La provincia crotonese” (Crotone essendo la città dell’ultimo comandante del Foca, Mario Ciliberto) e persino sull’altrimenti eccellente sito www.sommergibilefoca.it (dove chiunque è libero di guardare le foto delle scansioni sonar, fornite dallo stesso Misson: risulta alquanto evidente – tranne, a quanto sembra, agli autori del sito – quanto siano forzate e campate per aria le “correlazioni” inventate da Misson per cercare corrispondenze tra le foto storiche del Foca e le scansioni sonar del suo immaginario “relitto”. Mai come in questo caso, purtroppo, vale il detto secondo cui “gli occhi vedono solo ciò che la mente vuole vedere”).
Sull'attendibilità delle affermazioni di Jean-Pierre Misson ci si limita a riferire quanto segue, lasciando al lettore di decidere. 
Nel corso degli ultimi anni, Misson ha sostenuto di aver trovato in due ristrettissimi specchi d’acqua (pochi chilometri quadrati), al largo di Tabarka (Tunisia) e Ras el Hilal (Libia), non meno di dieci sommergibili (il britannico Urge e gli italiani Argonauta, Foca, Dessiè, Asteria, Avorio, Porfido e Cobalto, nonché altri ancora ai quali, grazie a Dio, non è “riuscito” ad appioppare un nome), il cacciatorpediniere britannico Quentin, la nave cisterna italiana Picci Fassio, la motosilurante tedesca S 35 e probabilmente altri relitti, distanti tra loro poche centinaia di metri (il che sarebbe già, di per sé, pressoché inverosimile). Si vedano, in proposito, le accese discussioni sul forum AIDMEN nonché le rivendicazioni di Misson che in alcuni casi, per mezzo di giornalisti del tutto inesperti della materia, sono purtroppo arrivate fin sui giornali (è il caso, oltre che del Foca, anche del britannico Urge). Tutti i “ritrovamenti”, con metodologia del tutto inaccettabile per una qualsivoglia seria ricerca di un relitto, sono avvenuti mediante l’“interpretazione” di vaghissime ombre registrate dal sonar, senza una singola immersione sugli immaginari relitti in questione.
La maggior parte delle sopraccitate unità, a differenza del Foca, ebbero sopravvissuti tra i propri equipaggi, e sia tali sopravvissuti che le unità responsabili degli affondamenti registrarono, all’epoca, le posizioni di detti affondamenti. Da ciò risulta con certezza che tutti i sommergibili e le navi di cui sopra affondarono in luoghi distanti decine, se non centinaia di miglia da quelli in cui Misson sostiene di averli trovati; ma ciò non scoraggia Misson dal sostenere che tutti coloro che registrarono tali posizioni abbiano sbagliato grossolanamente nelle loro rilevazioni di parecchie decine di miglia (del tutto impossibile, soprattutto quando si parla di quasi quindici unità diverse), mentre egli non prende lontanamente in considerazione di poter aver sbagliato nell’identificazione delle immagini sonar dei “relitti” in questione.
Dette immagini sonar, in realtà, risultano a qualsiasi osservatore imparziale come niente più che vaghi ed indistinguibili sgorbi, non identificabili in alcun modo e che con ogni probabilità non mostrano alcun relitto, né altro oggetto fatto dall’uomo; è Misson a “vedervi” i relitti, trasformando ogni ombra rilevata dal suo sonar in un “sommergibile”. Esemplare, a questo proposito, la procedura di “identificazione” del “relitto” dell’Urge, annunciata persino sui giornali: a sostegno delle sue tesi, Misson ha contattato un esperto di immagini sonar per identificare la vaga immagine sonar da lui attribuita al relitto dell’Urge, ma questi, visionata l’immagine, ha negato la possibilità di identificarla. Ciò non ha frenato minimamente Misson, che ha riaffermato la propria autoreferenziale identificazione dell’Urge, e si è poi premurato di non chiedere altri pareri di esperti (che non avrebbero che potuto essere negativi, non essendovi alcun relitto) per le “identificazioni” successive. Ancora più grottesca l’attribuzione delle cause di affondamento di queste unità: se trascurando il fatto che esse sono note con certezza per tutte le navi e sommergibili indicati (meno il Foca e forse l’Argonauta), Misson attribuisce buona parte degli affondamenti dei “sommergibili” di Tabarka ad un fantomatico campo minato presente in quelle acque. In realtà, è noto con certezza che non esisteva nessun campo minato presso Tabarka tranne uno che venne posato solo in epoca successiva a quasi tutti gli affondamenti citati, e che dunque non può esserne la causa. Una volta di più, ciò non sembra turbare minimamente Misson. Per le unità per il quale non ha potuto inventare un impossibile affondamento su mine inesistenti, Misson ha sostenuto che esse (sommergibili compresi, anzi, per primi) siano andate alla deriva per decine di miglia prima di affondare, convenientemente, tutte nel fazzoletto di mare ispezionato dal suo sonar, benché dai rapporti dell’epoca appaia chiaro come dette unità siano affondate nei luoghi degli attacchi, senza andare alla deriva.

Si ritiene che tutto ciò la dica lunga sulla validità delle "scoperte" di Jean-Pierre Misson. La notizia del ritrovamento del Foca presso Ras el Hilal è purtroppo da considerarsi come completamente destituita di fondamento.

Il sommergibile in navigazione (da www.warshipsww2.eu)

La classe Foca su Navypedia

lunedì 26 gennaio 2015

Bainsizza


Il Bainsizza (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net)

Piroscafo da carico da 7933 tsl e 4965 tsn, lungo 136,2 metri, largo 17,7 e pescante 8,93, con velocità 10 nodi. Appartenente alla Società Anonima Parodi, con sede a Genova, ed immatricolato al 1663 del Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

12 aprile 1930
Varato nello Stabilimento Tecnico Triestino di Trieste (numero di cantiere 779).
1930
Completato per la Società Anonima Emanuele Vittorio Parodi, di Genova.
Giugno 1934
Nel porto di Genova, il personale addetto allo scaricamento del Bainsizza rivendica un record mondiale nella velocità di scaricamento, scaricando 10.001 tonnellate di carbone in 23 ore e 43 minuti.
1935
Il Bainsizza, insieme ad altri mercantili come le navi cisterna Riva Sarda, Riva Ligure e Luisiano ed i piroscafi Provvidenza ed Ircania nonché alla portaidrovolanti Giuseppe Miraglia, viene impiegato nel trasporto di materiali per conto della Regia Aeronautica da Napoli a Massaua e Mogadiscio, nell’ambito delle operazioni di occupazione dell’Etiopia. Le navi formano il Reparto Tappa Africa Orientale.
7 novembre 1935
Salpa da Napoli diretto a Massaua con a bordo 50 tra bombardieri e ricognitori nonché un consistente quantitativo di materiali della Regia Aeronautica.
Gennaio-febbraio 1937
Durante la guerra civile spagnola, compie alcuni viaggi per conto delle Ferrovie dello Stato, trasportando truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie. La nave (come altri trenta piroscafi), non essendovi grande disponibilità di mercantili noleggiabili per trasportare rifornimenti, effettua i due trasporti in Spagna nel corso di viaggi di andata, altrimenti scarica, verso l’Europa settentrionale: parte dall’Italia, scarica i rifornimenti in Spagna e prosegue in zavorra sino in Nordeuropa, dove imbarca carbone per conto dell’Azienda Monopolio Carboni. Per il viaggio sino in Spagna, vengono imbarcati alcuni uomini della Regia Marina per mantenere le comunicazioni e compiere le segnalazioni, ed il comando della nave viene assunto da un ufficiale di Marina; i piroscafi compiono il viaggio da soli od a coppie, con la scorta di incrociatori leggeri o cacciatorpediniere della II Squadra sino al meridiano di Malaga od allo stretto di Gibilterra, poi di navi da guerra del gruppo «Quarto» (esploratori Quarto ed Aquila, torpediniera Audace) di base a Tangeri, che vigilano sulle rotte di accesso a Cadice.
5 luglio 1940
Requisito dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
27 luglio 1940
Partecipa all’operazione «Trasporto Veloce Lento» salpando da Napoli per Tripoli alle 5.30, in convoglio con i piroscafi Maria Eugenia e Gloriastella e le motonavi Città di Bari, Mauly, Francesco Barbaro e Col di Lana, scortate dalle torpediniere Orsa, Procione, Orione e Pegaso (IV Squadriglia Torpediniere) e dai cacciatorpediniere Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della X Squadriglia (forniscono inoltre supporto a distanza, nelle giornate del 30 e 31 luglio e del 1° agosto, anche aliquote delle forze da battaglia, con 5 incrociatori pesanti, 6 incrociatori leggeri e 15 cacciatorpediniere).
30 luglio 1940
Intorno alle 14 il convoglio cui appartiene il Bainsizza viene attaccato, circa 20 miglia a sud di Capo dell’Armi, dal sommergibile britannico Oswald (capitano di corvetta David Alexander Fraser), che lancia alcuni siluri contro il Grecale: il cacciatorpediniere riesce però a schivare le armi.
1° agosto 1940
Alle 9.45 tutte le navi del convoglio raggiungono Tripoli senza danni.
4 settembre 1940
Il Bainsizza parte da Tripoli alle 8.30 insieme al piroscafo Achille e raggiunge Napoli e Palermo scortato dalla torpediniera Procione.
15 ottobre 1940
Lascia Tripoli alle 5.30 e rientra a Palermo insieme al piroscafo Castelverde ed alla motonave Tergestea, con la scorta della torpediniera Sagittario.
21 ottobre 1940
Salpa da Napoli alla volta di Tripoli.
25 ottobre 1940
Arriva a Tripoli.
19 dicembre 1940
Parte da Napoli a mezzogiorno insieme al piroscafo Aquitania ed alle motonavi Assiria e Rialto e con la scorta della torpediniera Clio.
21 dicembre 1940
Alle 13.13, una quarantina di miglia a nord delle Kerkennah, il convoglio viene attaccato da un aereo britannico, che dopo aver seguito le navi per dieci minuti restando fuori tiro si butta in picchiata sull’Aquitania ma viene abbattuto dalla Clio prima di poter sganciare le proprie bombe.
Il velivolo è decollato dalla portaerei britannica Illustrious, che, in mare per un’altra operazione britannica, ha lanciato una dozzina di aerei contro due convogli italiani avvistati dai ricognitori.
22 dicembre 1940
Il convoglio arriva a Tripoli.
11 febbraio 1941
Parte da Tripoli alle 8.30 in convoglio con i piroscafi Sabaudia e Motia e la nave cisterna Utilitas e la scorta dell’incrociatore ausiliario Attilio Deffenu (capitano di fregata Angelo Coliolo) e dell’anziana torpediniera Giuseppe Missori per rientrare a Palermo e Napoli. Sabaudia, Bainsizza e Deffenu formano poi un convoglio a sé.
Alle 13.10 il sommergibile britannico Truant (capitano di corvetta Hugh Alfred Vernon Haggard) avvista il convoglio a 11.000 metri, su rotta 330°, e dopo essersi avvicinato sino a 4150 metri, alle 14.45 (rapporto del Deffenu; le 14.11 in quello del Truant), nel punto 33°32’30” N e 12°56’ E (fonti italiane; fonti britanniche: 33°36’ N e 12°53’ E, circa 45 miglia a nord-nord-ovest di Tripoli), il emerge a 700 metri per 45° dalla prua del Deffenu (che si trova in quel momento un chilometro a sinistra dei due mercantili) ed apre il fuoco contro il Bainsizza. Il Deffenu reagisce aprendo il fuoco con il proprio cannone prodiero contro il battello nemico, poi anche il Bainsizza (che dopo la quinta salva del sommergibile accosta per allontanasi seguito dal Sabaudia, che diventa il nuovo bersaglio a causa del cambio di posizione) apre il fuoco con il proprio armamento contro il Truant, e l’unità britannica, dopo aver sparato in tutto dodici salve, è costretta a tornare rapidamente ad immergersi (alle 14.16, secondo l’orario britannico). Concluso l’attacco il capitano di fregata Coliolo del Deffenu, considerata la bassa velocità del convoglio e temendo un nuovo attacco da parte del sommergibile una volta che sia calato il buio (in realtà il Truant si prepara ad attaccare l’incrociatore ausiliario con il siluro già poco dopo la fine dello scontro, ma non lancia perché il Deffenu non si avvicina abbastanza, così che alle 14.26 rinuncia ad attaccare), decide di rientrare a Tripoli.
Alle 16.30, nel punto 33°46’ N e 12°57’ E (una sessantina di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli), il Truant rileva nuovamente all’idrofono i rumori delle eliche delle navi italiane, che avvista alle 16.34 a 6000 metri per 300°, su rotta 118°. Alle 17.09, visto che il Deffenu è ben lontano sulla dritta (Bainsizza e Sabaudia stanno zigzagando, mentre due idrovolanti sorvolano il convoglio), il Truant lancia tre siluri, da 1800 metri, contro il Bainsizza, la nave più grande.
Alle 17.10 un aereo italiano sopraggiunto dieci minuti prima avvista le scie dei siluri ed il Truant stesso: l’aereo mitraglia e bombarda il sommergibile, mentre il Deffenu, dopo essere stato mancato di poco da due dei siluri durante l’accostata, si porta nella direzione di provenienza dei siluri ed attacca il Truant prima coi cannoni e poi, alle 17.20, con il lancio di sei bombe di profondità. Vengono viste emergere parecchie bolle d’aria, ma in realtà il sommergibile (sceso a 45 metri dopo aver subito qualche lieve danno) non è affondato.
12 febbraio 1941
Bainsizza, Sabaudia e Deffenu arrivano a Tripoli alle 23.30.
13 febbraio 1941
Il convoglio riparte per raggiungere Napoli.
16 febbraio 1941
Bainsizza, Sabaudia e Deffenu arrivano infine a Napoli alle 15.30.
2 maggio 1941
Parte da Trapani alla volta di Tripoli insieme ai piroscafi tedeschi Brook e Tilly M. Russ, alla nave cisterna Sanandrea ed al rimorchiatore tedesco Max Barendt, con la scorta delle torpediniere Polluce, Centauro, Clio e Generale Carlo Montanari e dell’incrociatore ausiliario RAMB III.
Alle 16.23 il sommergibile britannico Upright (tenente di vascello Russell Stanhope Brookes) avvista fumi su rilevamento 260°, in posizione 33°59’ N e 12°01’ E, e dopo aver accostato per avvicinarsi avvista alle 16.38 il convoglio di cui fa parte il Bainsizza, una cinquantina di miglia a sudest delle secche di Kerkennah. Alle 16.52, tuttavia, a causa dell’inesperienza del comandante Brooke, l’Upright si viene a trovare, al momento stabilito per il lancio, a soli 275 metri da una delle unità della scorta, così che deve rinunciare all’attacco ed immergersi in profondità. Alle 17.28 il sommergibile torna a quota periscopica e, avendo visto che uno dei mercantili (quello di coda della colonna di sinistra) è rimasto un po’ indietro rispetto al resto del convoglio, gli lancia contro un siluro alle 17.43, ma l’arma, lanciata da 5500 metri, manca il bersaglio.
24 maggio 1941
Lascia Tripoli in convoglio con i piroscafi tedeschi Duisburg e Preussen, l’italiano Bosforo e le navi cisterna Superga e Panuco, scortate dai cacciatorpediniere Folgore, Fulmine e Turbine, nonché da una forza di copertura costituita dall’incrociatore leggero Luigi Cadorna e dai cacciatorpediniere Maestrale e Grecale. Il convoglio raggiunge Palermo e poi Napoli senza danni.
21 giugno 1941
Parte da Napoli insieme ai piroscafi Preussen (tedesco), Motia, Nicolò Odero e Maddalena Odero, scortati dai cacciatorpediniere Folgore, Fulmine, Euro e Saetta.
22 giugno 1941
Nonostante diversi attacchi aerei britannici, il convoglio raggiunge indenne Tripoli.
1° luglio 1941
Lascia Tripoli alle 20 in convoglio con i piroscafi Preussen (tedesco), Nicolò Odero, Maddalena Odero e Giuseppe Leva e la motocisterna Ardor.
5 luglio 1941
Il convoglio arriva a Napoli alle 00.10.
27 luglio 1941
Parte da Napoli alle 13.45 in convoglio con i piroscafi Spezia ed Amsterdam e la motonave Col di Lana (le navi trasportano rifornimenti per l’Afrika Korps), scortati dai cacciatorpediniere Freccia, Dardo, Turbine e Strale. In mare, per coprire questo ed altri convogli, si trovano gli incrociatori leggeri Raimondo Montecuccoli e Giuseppe Garibaldi ed i cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino.
29 luglio 1941
Il convoglio giunge a Tripoli alle 19.15.
4 agosto 1941
Riparte da Tripoli per tornare a Napoli insieme ad Amsterdam, Col di Lana e Maddalena Odero e la scorta dei cacciatorpediniere Turbine, Freccia, Strale e Lanzerotto Malocello e della torpediniera Pegaso.
5 agosto 1941
Il convoglio viene attaccato da aerei britannici, ma nessuna nave subisce danni.
10 settembre 1941
Il Bainsizza, i piroscafi Caffaro, Nirvo, Tembien e Nicolò Odero e la motonave Giulia salpano da Napoli diretti a Tripoli, con la scorta dei cacciatorpediniere Fulmine ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò, caposcorta) e delle torpediniere Orsa, Procione ed Orione, più una quarta, la Circe, aggregatasi nel Canale di Sicilia. Si tratta del convoglio «Tembien», che, essendo composto da navi piuttosto lente, riceve l’ordine di seguire la rotta di ponente (Marettimo-Canale di Sicilia-Secche di Kerkennah).
12 settembre 1941
Nella notte il convoglio viene localizzato da un ricognitore britannico a sud di Pantelleria, ed alle 3.10 viene attaccato da aerosiluranti, il cui attacco riesce a vanificare con opportune manovre. Durante il mattino la navigazione nelle acque delle Kerkennah procede senza allarmi od altri problemi, ma alle 14, mentre le navi navigano a nordovest di Tripoli scortate anche da aerei italiani, si verifica un secondo attacco, da parte di otto bombardieri Bristol Blenheim del 105th Squadron della Royal Air Force (guidati dal maggiore Smithers), provenienti da ovest a bassa quota. Sia i mercantili che le unità della scorta aprono il fuoco (puntato e di sbarramento) con l’armamento contraereo; tre degli aerei attaccanti (i Blenheim Z7357, Z7423 e Z7504) vengono abbattuti (a seconda delle fonti, dal tiro contraereo delle navi o dall’intervento della scorta aerea, composta da tre caccia Macchi C. 200 ed altrettanti Fiat CR. 42 del 23° Gruppo della Regia Aeronautica), ma alle 14.10 il Caffaro viene incendiato da una bomba e dev’essere lasciato indietro, assistito da Orsa, Circe e poi anche Fulmine. Alle 16.50 il piroscafo, dopo che 224 naufraghi sono stati recuperati da Circe, Orsa e Fulmine, esplode ed affonda nel punto 34°15’ N e 11°54’ E (un centinaio di miglia a nordovest di Tripoli).
Alle 23.54 il resto del convoglio raggiunge il punto «C» della rotta di sicurezza di Tripoli.
13 settembre 1941
All’1.05 vengono avvistati con rotta 240° quattro o cinque aerei, ed all’1.20 si accendono 18 razzi illuminanti a sinistra del convoglio; le navi della scorta iniziano ad emettere cortine fumogene, mentre sia mercantili che navi da guerra aprono il fuoco (sia puntato che di sbarramento). L’attacco termina alle 2.30 senza che si abbiano a lamentare danni.
Alle 3.45 vengono sentiti (dalla Circe) rumori di aerei a poppa, ed alle 3.55 viene avvistato un bengala a dritta: è in corso un nuovo attacco da parte di sette bombardieri Vickers Wellington (per altra fonte Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm) decollati da Malta. Alle 4 il Nicolò Odero viene colpito ed incendiato, ed al suo soccorso vengono distaccate la Circe e l’Orsa nonché un’altra torpediniera, la Perseo, che, inviata da Zuara per rinforzare la scorta, ha raggiunto il convoglio ad attacco in corso. Alle 5 l’attacco è terminato, la formazione si riordina e le navi proseguono lungo la rotta di sicurezza.
Bainsizza, Nirvo, Giulia e Tembien, con le unità della scorta rimaste (Circe, Orsa e Perseo rimangono indietro con il Caffaro), raggiungono Tripoli il mattino del 13, senza aver subito altri danni.
Il Nicolò Odero, avvolto dalle fiamme, potrà essere portato ad incagliare in costa (nel punto 32°51’ N e 12°18’ E) dai rimorchiatori Pronta e Porto Palo, ma qui andrà distrutto il 14 settembre a causa dell’esplosione delle munizioni contenute in una stiva.
8 ottobre 1941
Alle 22.20 il Bainsizza parte da Napoli insieme ai piroscafi Zena e Casaregis, alla motonave Giulia ed alla nave cisterna Proserpina, con la scorta dei cacciatorpediniere Granatiere (caposcorta capitano di vascello Capponi), Bersagliere, Fuciliere ed Alpino: le navi formano il convoglio «Giulia», diretto a Tripoli. Ad esso si dovrebbe aggregare anche il piroscafo Nirvo scortato dalla torpediniera Generale Antonino Cascino, usciti da Trapani, ma il Nirvo deve tornare in porto a causa di avarie, mentre la Cascino raggiunge il convoglio. Il convoglio procede a 9 nodi scortato, di giorno, da aerei della Regia Aeronautica; l’arrivo a Tripoli è previsto per le 18 dell’11 ottobre. A saperlo è però anche l’organizzazione britannica «Ultra», che con intercettazioni dell’8 e del 9 ottobre ha indicato orari e porti di partenza e di arrivo, composizione e velocità del convoglio, permettendo ai comandi britannici di predisporre un attacco di aerosiluranti. Già prima che la minaccia si concretizzi, tuttavia, il Bainsizza deve dirigere su Trapani per avarie alle macchine, giungendovi alle 16 del 10 ottobre. Il resto del convoglio verrà attaccato da aerosiluranti il 10 ottobre, subendo la perdita di Zena e Casaregis.

Il varo della nave (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net)

L’affondamento

Lo scampato pericolo del convoglio «Giulia», dovuto alla quasi provvidenziale avaria di macchina, rimandò solo di pochi giorni la fine del piroscafo, che, riparate le avarie, rimase a Trapani per unirsi al successivo convoglio in partenza per l’Africa: il convoglio «Nirvo».
Alle 17 del 12 ottobre 1941 il Bainsizza partì da Trapani alla volta di Tripoli in convoglio con il piroscafo Nirvo (che proprio come il Bainsizza era rientrato a Trapani per le avarie e non si era potuto unire al convoglio «Giulia») ed il rimorchiatore d’altura tedesco Max Barendt, con la scorta dei cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco (caposcorta, capitano di vascello Salvatore Esposito) e Sebenico (il cui comandante era alla sua prima missione di scorta sulle rotte per la Libia). A bordo del Bainsizza, che trasportava 240 tra autoveicoli e rimorchi, nove moticicli e 3273 tonnellate di materiali per l’Afrika Korps (tra cui munizioni), si trovavano 250 uomini tra militari tedeschi (oltre duecento) ed equipaggio italiano. Il convoglio seguiva la rotta che passava ad ovest di Malta.
Alle 2.50 del 13 ottobre le navi vennero attaccate una prima volta, nelle acque di Pantelleria, da aerei britannici, che tuttavia non arrecarono alcun danno.
Per tutta la giornata del 13 il convoglio fu protetto da una scorta aerea il cui mantenimento coinvolse in tutto dieci caccia biplani Fiat CR. 42, quattro caccia pesanti Fiat CR. 25, sei bombardieri/aerosiluranti Savoia Marchetti SM. 79 “Sparviero” e due C.A. 42. Indirettamente la scorta aerea era rafforzata anche dalla presenza, in acque non lontane, dei velivoli di scorta al piroscafo Achille Lauro in navigazione da Trapani a Tripoli, che con quelli del convoglio «Nirvo» andarono a formare un unico grande ombrello aereo a protezione dei due convogli.
L’arrivo del buio della notte, però, comportò la cessazione della scorta aerea, come usuale, sino al mattino successivo, e l’inizio di una serie di accaniti attacchi di aerei provenienti da Malta. La formazione notturna era su due colonne: una composta da Nirvo e Da Recco, l’altra da Bainsizza, Barendt e Sebenico.
Prima che fosse sera il convoglio aveva già deviato dalla rotta prestabilita, su ordine di Supermarina, perché un sommergibile nemico era stato avvistato nel tratto di mare dove le navi sarebbero dovute passare nottetempo. Le accostate richieste dal dirottamento non erano state eseguite con sufficiente prontezza da tutte le navi, così – complice anche la difficoltà di comunicare di notte – le due colonne del convoglio avevano finito col dividersi e diventare due gruppi separati: in posizione avanzata Nirvo e Da Recco, più arretrati di 4-5 km Bainsizza, Barendt e Sebenico. In tal modo, venne a mancare la possibilità di difesa ed assistenza reciproca sul quale si fonda il concetto stesso di convoglio, ed il caposcorta Esposito del Da Recco non fu più in grado di controllare di persona la navigazione di tutte le unità in mare sotto la sua responsabilità. Esposito, resosi conto della situazione, ordinò subito al Sebenico di riportarsi, insieme a Bainsizza e Barendt, presso il Da Recco, e gli indicò anche quale rotta avrebbe dovuto seguire per farlo, ma tale manovra non era ancora cominciata quando il convoglio venne attaccato da sei aerosiluranti britannici Fairey Swordfish dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Malta. All’1.20 del 14, nel punto 34°18’ N e 12°16’ E (ad una novantina di miglia da Tripoli e 65 miglia a nord di Zuara), il Bainsizza venne colpito da un siluro a prua ed iniziò ad appruarsi.
Subito dopo il siluramento, gli oltre 200 soldati tedeschi presenti a bordo ed anche parecchi membri dell’equipaggio, in preda al panico, si gettarono in mare. Il Max Barendt, invece che tentare di prendere subito a rimorchio il Bainsizza, provvide a recuperare i naufraghi, cosa che avrebbe potuto invece fare il Sebenico, il cui inesperto comandante esitò inizialmente ad intervenire; si persero così ore cruciali per salvare la nave, che, pur estremamente appruata (l’acqua arrivava a lambire gli occhi di cubia), sembrava continuare a galleggiare bene.
Il Da Recco, trovandosi a diversi chilometri di distanza, non si accorse dell’accaduto, e ne venne informato solo due ore dopo; quando il capitano di vascello Esposito venne a sapere del siluramento, comunque, non potendo lasciare che il Nirvo proseguisse da solo per tornare indietro a fornire assistenza, poté solo comunicare per radiosegnalatore al Sebenico le disposizioni da seguire, e poi informare i comandi a Roma ed a Tripoli che il Bainsizza era stato gravemente danneggiato.
Marina Tripoli, non appena ebbe notizia dell’accaduto, fece salpare il rimorchiatore Ciclope e la torpediniera Polluce ed ordinò al Max Barendt di mantenersi vicino alla nave colpita, ma quando le unità inviate da Tripoli giunsero sul posto il Bainsizza, dopo aver resistito a galla per ventiquattr’ore, era già stato colpito da una bomba durante un nuovo attacco aereo ed era ormai affondato, all’alba del 15 ottobre, nel punto 34°35’ N e 12°12’ E, un centinaio di miglia a nord-nord-ovest di Tripoli.
(Per altra versione, una volta terminato il recupero dei naufraghi il Max Barendt prese infine a rimorchio il piroscafo danneggiato, cui vennero incontro da Tripoli dapprima il Ciclope, che rilevò il Max Barendt nel rimorchio, e successivamente la Polluce, che andò a rinforzare la scorta, ma fu tutto vano: il convoglio venne nuovamente attaccato da aerei, ed il Bainsizza fu colpito di nuovo, questa volta da una bomba. Ci si dovette rassegnare ad abbandonare il rimorchio, e la nave affondò all’alba del 15 ottobre).
Dei 250 uomini imbarcati sul Bainsizza, risultarono dispersi un soldato tedesco ed un marinaio dell’equipaggio civile. Il Max Barendt, con i naufraghi del piroscafo, giunse a Tripoli alle otto di sera del 15 ottobre.

La prua del Bainsizza, carica di autocarri sistemati in coperta, sempre più bassa sull’acqua, in una foto scattata dal Sebenico (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia, dove la nave è erroneamente identificata come Caterina)


Due immagini del Bainsizza in affondamento il 14 ottobre 1941 (sopra: g.c. STORIA Militare; sotto: foto USMM, da “Navi mercantili perdute”)