sabato 25 aprile 2015

VAS 208


La VAS 208 fotografata a Biserta il 22 marzo 1943 (g.c. STORIA militare)


Cacciasommergibili (Vedetta Anti Sommergibile, VAS) classe Baglietto 68 t, prima serie. Lungo 28 metri e largo 4,30, con un pescaggio di 1,80 m, dislocava 69,1 tonnellate e raggiungeva una velocità di 20,5 nodi ed un’autonomia di 300 miglia a 19 nodi. L’armamento constava di due mitragliere da 20/65 mm, due mitragliatrici da 6,5 mm, due tubi lanciasiluri da 450 mm, due scaricabombe antisommergibile ed una torpedine da rimorchio; l’equipaggio era composto da 26 uomini.

Breve e parziale cronologia.

1942
Costruita nei cantieri Baglietto di Varazze.
Inizialmente impiegata in Tunisia, verrà successivamente dislocata in Liguria con la V Squadriglia Vedette Antisom.
26-27 agosto 1943
La VAS 208, insieme alle gemelle VAS 214, 220, 224, 238 e 240, alla cannoniera Zagabria, alla corvetta Pellicano, ai sommergibili H 6 e Francesco Rismondo, ai rimorchiatori Sant’Antioco e Portoferraio (per rimorchio bersaglio) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere XIII (Carabiniere, Fuciliere, Mitragliere) e XIV (Artigliere, Legionario, Alfredo Oriani), nonché a numerosi aerei, partecipa ad una prolungata esercitazione (dal tardo pomeriggio del 26 e per tutta la notte successiva, fino al 27) della IX Divisione Navale, composta dalle moderne corazzate Roma, Vittorio Veneto ed Italia. Scopi dell’esercitazione, svolta al largo di La Spezia, sono: esercitazioni di tiro diurne e notturne, verifica della coordinazione tra caccia italiani e tedeschi nel respingimento di attacchi notturni di aerosiluranti, simulazione di attacco notturno di motosiluranti, emissione di cortine fumogene, prove di navigazione notturna. Due delle VAS simulano un attacco notturno di motosiluranti in condizioni di bassa visibilità; una delle due viene avvistata a grande distanza dal Carabiniere ed inquadrata dal suo tiro illuminante e poi anche da un proiettore del Mitragliere, mentre l’altra, trattenendosi a maggiore distanza, non viene individuata.

Procchio

L’armistizio dell’8 settembre 1943 sorprese la VAS 208, insieme alle gemelle VAS 214, 219 e 220, nel porto di Imperia, dove aveva base la V Squadriglia Vedette Antisom (al comando del tenente di vascello Ludovico Motta, imbarcato sulla VAS 214) che le quattro VAS formavano.
La sera stessa dell’8 settembre le forze della Wehrmacht iniziarono ad occupare la Liguria, e nel primo pomeriggio del 9 appariva evidente che presto anche Imperia sarebbe stata raggiunta dalla loro avanzata. Il comandante della Capitaneria di Imperia, tenente colonnello di porto Piaggio, ordinò che tutte le navi mercantili e militari in condizione di muovere dovessero partire il prima possibile per evitare la cattura, senza però specificare dove si sarebbero dovute dirigere, se non che tutti i porti a sud di Livorno fossero da considerarsi sicuri, affermazione decisamente ottimistica e che presto avrebbe perso ogni fondamento.
Intorno alle 15.30 del 9 settembre, pertanto, la VAS 208 e le tre gemelle lasciarono Imperia, proprio mentre entravano nella rada alcune motozattere da sbarco tedesche tipo MFP. Queste ultime, benché più lente delle VAS, erano più grandi e meglio armate; sulle VAS ci si preparò al combattimento, armando le mitragliere da 20 mm che ogni unità aveva, ma nessuno aprì il fuoco e le VAS poterono prendere il largo senza incidenti, per poi fare rotta per Portoferraio. Alcune delle unità della V Squadriglia, infatti, avevano i motori in condizioni ben distanti dalla piena efficienza ed inadatti ad una lunga navigazione di trasferimento; si sperava che a Portoferraio sarebbe stato possibile rimettere in efficienza i motori, rifornirsi e ricevere disposizioni più dettagliate.
Durante la notte le VAS, viaggiando a bassa velocità sia per risparmiare combustibile, sia perché i motori afflitti da reiterate avarie non consentivano molto di più, attraversarono il mare tra Livorno e la Gorgona senza essere avvistate dalle numerose unità tedesche – motozattere, motodragamine, posamine – che incrociavano in quelle acque, dove avevano già affondato o catturato diverse unità minori od ausiliarie italiane (il trasporto Buffoluto, l’incrociatore ausiliario Piero Foscari, il piroscafo Valverde, i VAS 234, sul quale era morto il contrammiraglio Federico Martinengo, 235, 238 e 239, le motozattere MZ 703, 709 e 749, il panfilo-cacciasommergibili AS 113 Pertinace, il dragamine D 1).
Il caposquadriglia Motta, considerati le difficoltà ed i rischi della navigazione notturna in quelle acque infestate da unità tedesche, valutò la possibilità di passare la notte a Capraia, in modo da giungere all’isola d’Elba con la luce del giorno, dunque lasciò le VAS 208, 219 e 220 al largo e si avvicinò al piccolo porto di Capraia con la VAS 214. Quest’ultima, però, nell’avvicinarsi al porto avvistò le sagome di tre motozattere, che avvicinò e chiamò ripetutamente per cercare informazioni, ma senza ottenere risposta: Motta ritenne allora che si trattasse di motozattere tedesche e pertanto si allontanò, rinunciando a sostare a Capraia, si riunì alle tre VAS dipendenti e riprese la navigazione verso sud. In realtà le motozattere erano cinque ed erano italiane (molto simili a quelle tedesche, essendo sostanzialmente una copia con poche modifiche del progetto delle MFP), ma questo era solo il primo degli equivoci che avrebbero pregiudicato la sorte delle VAS della V Squadriglia.
Circa due ore più tardi le quattro VAS arrivarono nelle acque dell’isola d’Elba, più o meno contemporaneamente al rimorchiatore militare Porto Palo ed alla cannoniera Rimini, là giunte navigando isolate da La Spezia. Tutte e sei le piccole unità, essendo ancora buio, seguirono le norme prescritte ed attesero l’alba per farsi riconoscere dal semaforo di Montegrosso e poter così entrare nella rada di Portoferraio. Soffiava però un vento da sud, sempre più forte, che stava facendo ingrossare il mare, ed intorno alle cinque del mattino del 10 settembre le quattro VAS furono costrette a ridossarsi al largo del paesino elbano di Procchio.
Poco prima delle sei (alle 5.45, secondo il sergente Adorno Picchi, in servizio all’osservatorio di Monte Castello), tuttavia, gli osservatori del XXV Gruppo di Artiglieria da Posizione Costiera e gli uomini del 343° Battaglione Mitraglieri, schierato a Biodola e Procchio, avvistarono le unità della V Squadriglia che si avvicinavano lungo la rotta di sicurezza, seguite a distanza da Rimini e Porto Palo. I soldati, che nella generale confusione post-armistiziale avevano i nervi a fior di pelle, credettero che si trattasse di unità tedesche che intendessero effettuare uno sbarco sull’isola d’Elba, perciò aprirono un nutrito fuoco con le mitragliatrici contro le VAS (che per loro fortuna erano ancora piuttosto lontane); seguirono confusi e caotici scambi di segnalazioni completamente erronee, mentre alcune postazioni di terra, vedendo i proiettili traccianti che cadevano in mare, pensarono che fossero colpi sparati dalle navi avvistate e richiesero urgentemente che le batterie costiere aprissero il fuoco. Il colonnello Nicola De Stefanis, comandante del 108° Reggimento Costiero di Portoferraio, credette di trovarsi di fronte a quatto motozattere tedesche che «manifestavano» «intenzione di venire a terra» e ritenne anche che gli «zatteroni» tedeschi, una volta presi sotto il tiro incrociato della propria compagnia mitraglieri, avessero anche risposto al fuoco con grande violenza (in realtà le VAS non reagirono, per non peggiorare la situazione), prima di essere costretti a ritirarsi verso nordovest virando di bordo e coprendosi con cortine fumogene dopo che altre armi si furono unite al fuoco e la sorpresa dello «sbarco» fu sfumata; così scrisse nel suo rapporto, e lo stesso fece il generale di brigata Achille Gilardi, comandante del Settore Elba, che anzi parlò di «sei motozattere con truppe a bordo» e che «invertirono la rotta reagendo al fuoco e proteggendosi con nebbia artificiale» e ritenne che due delle «motozattere» fossero state colpite, visto che al largo se ne videro poi solo quattro (perché tante erano le VAS).
Gli artiglieri degli osservatori erano dubbiosi sulla reale identità delle unità avvistate, e come se non bastasse gli ufficiali non erano presenti, perché a rapporto al Comando di Gruppo, a Literno: tra questi vi erano anche il comandante dell’osservatorio principale di Monte Castello, il tenente colonnello Manzutti, ed il suo vice, tenente Vestrini; trovandosi i due ufficiali a tre quarti d’ora dal loro osservatorio, la responsabilità di valutare l’entità della minaccia e dirigere il tiro ricadde sul sergente Picchi, unico graduato presente.
Il panico di un attacco tedesco si diffuse a macchia d’olio, così alle 6.10 le batterie del XXV Gruppo aprirono il fuoco con i cannoni da 75/27 mm della 11a Batteria, appostati a Santa Lucia della Pila, e gli obici da 149/12 mm della 120a e 121a Batteria di Casa Verna e del Literno. Lo stesso avevano fatto le mitragliatrici dei vari reparti, il 25° Gruppo d’Artiglieria e la batteria costiera «Ludovico De Filippi» dell’Enfola, quest’ultima armata da personale della Regia Marina anziché dell’Esercito e provvista di quattro cannoni navali da 152/45 mm. Si trattò dell’unica, tra le batterie elbane armate da personale della Marina, ad aprire il fuoco; nelle altre, forse, gli artiglieri, avendo più dimestichezza con le unità navali, si resero conto di cosa avevano effettivamente davanti a loro e non spararono. Anche la batteria «De Filippi», comunque, dopo aver sparato pochi colpi a 19.000 metri di distanza, cessò il tiro, mentre cannoni e mitragliere dell’Esercito inseguirono le VAS in precipitosa fuga. Fu grazie alla scarsa gittata delle artiglierie disponibili ed all’imprecisione del tiro se nessuna delle unità italiane fu colpita.
Erano le 6.25 quando le quattro VAS, trovandosi ad un miglio dalla costa al traverso di Scoglietto (Portoferraio) e dirette a Portoferraio, si videro fare oggetto del tiro di una batteria situata ad ovest del porto, con colpi di cannone e raffiche di mitragliera; ritenendo erroneamente – dato che la distanza e la visibilità, secondo il caposquadriglia Motta, sarebbero dovute essere tali da permettere il perfetto riconoscimento della bandiera italiana – che anche l’Elba fosse già in mano ai tedeschi, le unità della V Squadriglia, senza rispondere al fuoco, si allontanarono verso est, tentando di raggiungere il Canale di Piombino per entrare in quel porto. Subito dopo che le quattro unità si furono rifugiate dietro Capo Vita, il motore della VAS 208 andò totalmente e definitivamente in avaria, così che l’unità dovette essere presa a rimorchio da una delle gemelle; non appena ebbero scapolato il ridosso dell’Elba, come se non bastasse, i piccoli cacciasommergibili si trovarono in difficoltà a causa del mare burrascoso da sud, a causa di una forte sciroccata.
Non essendo possibile proseguire ulteriormente con mare tanto avverso, che le sballottava in continuazione, e le unità in condizioni tanto precarie di efficienza (specie con la VAS 208 che doveva procedere a rimorchio), la V Squadriglia dovette puggiare su Portovecchio di Piombino. Stavolta il semaforo della base non commise errori di riconoscimento, e le quattro VAS poterono ormeggiarvisi alle 7.30 (lo stesso fecero anche Rimini e Porto Palo, che le avevano seguite  a distanza per tutto il tempo).
La sosta a Piombino si rivelò purtroppo fatale per i quattro cacciasommergibili: alle 9.30 del 10 settembre, infatti, entrarono in porto anche le torpediniere tedesche TA 9 (tenente di vascello Otto Reinhardt) e TA 11 (tenente di vascello Karl-Wolf Albrand) ed il piroscafo tedesco Hans SS Carbet. Entrate con il pretesto di doversi rifornire di acqua e carburante – cui il comandante di Marina Piombino (capitano di fregata Amedeo Capuano) non aveva creduto, dovendo però infine permettere loro l’ingresso su ordine del gerarca fascista e generale Cesare De Vecchi, comandante della 215° Divisione Costiera di Massa Marittima – le unità tedesche, provenienti da Torre Annunziata, avevano in realtà il compito di porre sotto il proprio controllo il porto di Piombino, e dopo essere entrate le due torpediniere si portarono l’una (TA 9) all’estremità settentrionale del porto e l’altra (TA 11) all’estremità meridionale, tenendo così sotto tiro l’intera area portuale.
Le VAS si vennero così a ritrovare sotto la minaccia dei cannoni delle due torpediniere, virtualmente in ostaggio.
Nelle ore successive risultò evidente che stava per scatenarsi la battaglia: numerosi altri mezzi navali tedeschi con truppe a bordo entrarono nel porto per procedere all’occupazione della città, mentre a Piombino civili e militari, stanchi dell’indecisione dei comandi dell’Esercito – apparentemente preoccupati più di mantenere l’“ordine pubblico” che di respingere un evidente prossimo attacco tedesco, specie De Vecchi – provvedevano a preparare le difese.
Le VAS, impossibilitate a ripartire, si sarebbero ritrovate nel mezzo della battaglia; su ordine del Comando Marina di Piombino – non potendo le piccole unità, poco armate, in condizioni d’inefficienza e per giunta tenute sotto tiro dalle navi tedesche, contribuire al combattimento – gli equipaggi delle quattro VAS sabotarono le loro unità, per poi allontanarsi un po’ per volta, furtivamente, prima del tramonto.
Calato il buio, alle 21.15 scoppiò la battaglia tra le unità della Kriegsmarine impegnate nello sbarco a Piombino e civili e militari italiani che reagirono all’attacco. I combattimenti infuriarono per tutta la notte, e costarono 4 morti e parecchi feriti da parte italiana e 120 morti e 300 prigionieri da parte tedesca; le batterie costiere italiane di Montecaselli, di Villa Serini e del Semaforo, cui poi si unirono anche dei carri armati aprirono il fuoco sul naviglio tedesco presente nel porto, affondandovi la TA 11, sette motozattere, le chiatte Mainz e Meise e sei tra motolance e motobattelli della Luftwaffe (Fl.B.429, Fl.B.538, Fl.C.3046, Fl.C.3099, Fl.C.504 e Fl.C.528) e danneggiando gravemente la TA 9, il Carbet ed il piroscafo Capitano Sauro, in mano tedesca (Carbet e Sauro vennero poi autoaffondati per via dei danni).
Durante la battaglia, una delle quattro VAS fu colpita da un proiettile che la incendiò; dai suoi serbatoi fuoriuscì gasolio in fiamme che avvolse anche le altre unità vicine nonché la TA 11, contribuendo al suo affondamento. La VAS 208 e le sue tre gemelle furono tutte colpite nel combattimento ed affondate nelle acque del porto. Ebbe così termine la breve storia della V Squadriglia Vedette Antisom.
Non vi furono perdite tra gli equipaggi delle VAS; radunati nella frazione di Salivoli, gli uomini della V Squadriglia riuscirono a lasciare Piombino prima che la città venisse occupata dalle forze tedesche. Alcuni giovani ufficiali, tra varie peripezie, riuscirono a raggiungere il Suditalia ed a tornare nei ranghi della Regia Marina.
Quanto restava della VAS 208 e delle gemelle venne ripescato nel 1947 e smantellato.


Le vicende armistiziali nel Tirreno settentrionale

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