domenica 17 maggio 2015

Atlas


L’Atlas (da www.photoship.co.uk)


Piroscafo cisterna da 2005 tsl, 1128 tsn e 3000 tpl, lungo 75,6 metri, largo 12,22 e pescante 6,1. Appartenente all’armatore Barbagelata di Genova, matricola 1337 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

1898
Impostata dalla Delaware River Iron Shipbuilding & Engineering Works di Chester (numero di cantiere 297).
17 novembre 1898
Varata come Atlas nei cantieri della Delaware River Iron Shipbuilding & Engineering Works di Chester.
Dicembre 1898
Completata per la Standard Oil Company di New York. Stazza lorda originaria 1942 tsl.
1905
Venduta alla Pacific Coast Oil Company, anch’essa con sede a New York.
17 novembre 1906
Acquistata dalla Standard Oil Company of California, di Richmond/San Francisco.
1925
Acquistata dalla Società Armatrice Italiana, con sede a Genova, ed iscritta al Compartimento Marittimo di Genova.
1939
Rivenduta alla Ditta G. M. Barbagelata, anch’essa di Genova.

Tampico

Anche l’Atlas condivise la sorte delle 200 e più navi mercantili italiane che, il 10 giugno 1940, si trovarono bloccate al di fuori del Mediterraneo, spesso a migliaia di chilometri dalla madrepatria. La dichiarazione di guerra dell’Italia trovò l’Atlas a Tampico, importante porto petrolifero del Messico, ove si trovavano anche diverse altre petroliere italiane: la Fede, la Stelvio, la Marina Odero, la Tuscania, l’Americano, la Genoano, la Lucifero e la Vigor (un’altra, la Giorgia Fassio, era a Veracruz). Per tutte la sorte fu la stessa: l’internamento in acque messicane.
La situazione perdurò fino alla primavera del 1941, quando le cose improvvisamente mutarono. Il 30 marzo 1941, infatti, gli Stati Uniti, pur essendo neutrali, procedettero alla confisca di tutti i bastimenti mercantili dell’Asse presenti nei propri porti; diversi altri paesi dell’America centrale e meridionale, spesso su pressione angloamericana, si prepararono a fare lo stesso, e gli equipaggi di numerosi mercantili italiani internati in questi stati, in base agli ordini ricevuti dalle autorità italiane, sabotarono od autoaffondarono le loro navi prima che potessero essere catturate.
Il Messico colse l’occasione, disponendo anch’esso la confisca delle dodici navi dell’Asse presenti a Tampico e Veracruz, per incrementare la propria modesta flotta petroliera: con la cattura delle dieci cisterne italiane che si trovavano nei suoi porti, infatti, il tonnellaggio complessivo delle navi cisterna in mano messicana sarebbe passato da 29.445 tsl a 117.591 tsl. Il Messico aveva da poco (18 marzo 1938) nazionalizzato le proprie riserve petrolifere, espropriandole alle compagnie straniere e creando una propria compagnia petrolifera controllata dallo Stato, la Petróleos Mexicanos S. A. (Pemex), ma soffriva di una carenza di navi cisterna adeguate a trasportare il petrolio, che venne così “risolta”.
La mossa sarebbe poi stata giustificata a posteriori dal presidente messicano Manuel Ávila Camacho, con decreto firmato l’8 aprile 1941, in base al “diritto d’angheria”, per il quale una nazione in guerra (ma il Messico era neutrale) poteva requisire per i propri usi naviglio mercantile appartenente ad altre nazioni che si trovi nella propria giurisdizione, a patto di risarcirne adeguatamente i proprietari. Come motivi per l’applicazione del diritto d’angheria pur essendo il Messico neutrale Ávila Camacho indicò i gravi disturbi causati dalla guerra al commercio marittimo del Messsico, il modo in cui era condotto il conflitto, ignorando i diritti delle nazioni neutrali, ed il quasi completo annientamento del commercio marittimo messicano per mancanza di mezzi di trasporto: secondo il presidente messicano, l’applicazione, da parte di uno Stato neutrale, del diritto d’angheria rappresentava solo una piccola compensazione per il trattamento che in quella guerra aveva subito lo stato stesso di neutralità.
Per meglio giustificare la mossa, il governo messicano inviò un avvertimento a quelli di Italia e Germania, intimando loro di far lasciare alle loro navi le acque messicane, pena, decorso il tempo stabilito, la confisca; tale disposizione non era attuabile, visto che se le navi dell’Asse avessero lasciato il Messico sarebbero state con ogni probabilità intercettate e catturate od affondate da navi alleate.
Su disposizione delle autorità messicane, pertanto, l’ammiraglio Luis Hurtado de Mendoza, alla testa di reparti del 31° Battaglione, fu inviato a confiscare le navi dell’Asse presenti nei porti del Messico.
Il 1° aprile 1941, quando un drappello della Marina messicana, incaricato di abbordare e catturare la nave, si avvicinò all’Atlas per assumerne il controllo, l’equipaggio della petroliera aprì le valvole di presa a mare, e la nave iniziò lentamente ad affondare nel fiume Panuco.
Il comandante dell’Atlas, capitano Lelio Sazzi, dichiarò di aver adempiuto al proprio dovere ed alle istruzioni del governo italiano di impedire che la nave potesse cadere in mani straniere, magari – da ultimo – inglesi. Il comandante Sazzi ed i venti uomini dell’equipaggio, benché la nave fosse completamente sommersa ad eccezione del ponte superiore – che il mattino del 3 aprile non era nemmeno trenta centimetri al di sopra della superficie, e continuava lentamente ad abbassarsi sull’acqua –, si rifiutarono di scendere a terra.
Il 3 aprile il comandante Sazzi ed il direttore di macchina dell’Atlas furono prelevati dalla cannoniera messicana Queretaro per essere interrogati sull’autoaffondamento della loro nave. Quando il comandante Sazzi affermò di aver eseguito ordini governativi di far saltare la nave qualora fosse giunta in un porto statunitense e minacciata di confisca, ed entrambi gli ufficiali ebbero confessato la loro responsabilità nell’affondamento, furono incarcerati. Contro di loro fu sollevata l’accusa di sabotaggio ed intralcio alla navigazione nel porto di Tampico.
L’equipaggio dell’Atlas fu l’unico che riuscì nel tentativo di sabotare la nave; gli altri bastimenti dell’Asse presenti nei porti del Messico furono tutti catturati intatti, dopo che, proprio con il pretesto di impedire un altro caso Atlas, le autorità messicane avevano posto i loro equipaggi sotto custodia. Successivamente i marittimi italiani furono rilasciati, e le autorità messicane assegnarono loro dei posti di lavoro affinché potessero guadagnare il denaro necessario a sostentarsi finché non fosse stato possibile il loro rimpatrio; nel frattempo, però, due di essi erano deceduti in prigionia: il 20 febbraio 1942 l’ufficiale di coperta Francesco Caccagno, palermitano, era deceduto ad Aperato, in Messico, ed il successivo 12 maggio il capo fuochista Domenico Bruzzone, di Genova, era morto a Perote per embolia polmonare.

Domenico Bruzzone (Genova, 1889-Perote, 1942), capo fuochista dell’Atlas, deceduto in prigionia in Messico (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)









La carta d’identità di Domenico Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)...




…ed il suo libretto di matricolazione (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)




Una foto inviata da Domenico Bruzzone alla moglie Amabile durante la prigionia e, sotto, il messaggio scritto sul retro (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)



Un’altra fotografia inviata da Domenico Bruzzone alla moglie durante la prigionia in Messico (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)


Marittimi italiani durante l’internamento a Perote (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)

Marittimi italiani e tedeschi a pranzo a Perote all'ombra dei manghi durante l’internamento, in una foto inviata da Domenico Bruzzone alla moglie (sotto, il messaggio a lei rivolto) (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)



Un’altra immagine spedita a casa da Domenico Bruzzone: un gruppo di marittimi italiani, probabilmente nel carcere di Perote. Sotto, il messaggio scritto sul retro della fotografia (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)


Una serie di immagini dei funerali di Domenico Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)







Il messaggio con cui la società armatrice informava la famiglia di Domenico Bruzzone della sua morte (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)…

…e la lista dei suoi effetti personali (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata).

Il certificato d’iscrizione di Amabile Viburno, vedova di Domenico Bruzzone, al ruolo d’onore della Cooperativa Garibaldi nel dopoguerra (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)


Nel dopoguerra Lorenzo Bruzzone, figlio di Domenico Bruzzone, istituì una coppa ed un torneo di pallanuoto in memoria del padre presso la piscina della squadra “Sportiva Nervi” (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)







La famiglia Bruzzone a Sestri Ponente; sulla destra, accosciato e vestito di bianco, è Lorenzo Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)

Amabile Viburno e Lorenzo Bruzzone (Foto Domenico Bruzzone – Collezione privata)


I lavori di recupero dell’Atlas, posatasi sul basso fondale del fiume Panuco senza essere completamente sommersa, furono estremamente rapidi: già il 4 aprile la petroliera fu riportata a galla e prosciugata dell’acqua imbarcata. Un’ispezione a bordo rivelò che l’equipaggio aveva anche fracassato a martellate le testate dei cilindri dell’apparato motore.
I danni risultarono tuttavia riparabili; formalmente confiscata dal Messico l’8 dicembre 1941 (in base ad un decreto dell’8 aprile), la nave fu ribattezzata Las Choapas, registrata a Coatzcoalcos (Veracruz) ed affidata alla Petróleos Mexicanos (Pemex), con sede a Tampico. Lo stesso accadde alle altre petroliere dell’Asse catturate dal Messico; il loro comando fu affidato ad ufficiali della Marina messicana, ed i loro equipaggi furono formati in parte da personale della fanteria di Marina nonché da ufficiali di coperta, di macchina e radiotelegrafisti appartenenti anch’essi alla Armada de México. L’equipaggio della Las Choapas fu formato da 5 uomini dell’Armada de México e 26 della Marina Mercantile messicana.

La vita della Las Choapas sotto bandiera messicana, tuttavia, non fu lunga: alle 15.25 (ora tedesca; le 7.22 per l’orario messicano) del 27 giugno 1942 la petroliera (al comando del tenente di vascello Pedro Calderón Lozano), in navigazione isolata da Minatitlan a Tampico con un carico di 17.450 barili di gasolio (per altra fonte 16.000 barili di petrolio greggio), fu colpita a poppa da un siluro lanciato dal sommergibile tedesco U 129 (tenente di vascello comandante Hans-Ludwig Witt), che distrusse il timone, e prese immediatamente fuoco. L’U-Boot emerse ed ordinò all’equipaggio della cisterna di abbandonare la nave sulle tre lance a disposizione (il che fu fatto), poi cannoneggiò il relitto in fiamme per accelerarne l’affondamento, interrogò i superstiti e poi s’immerse rapidamente per sfuggire all’attacco di un idrovolante PBY Catalina statunitense, frattanto sopraggiunto. La Las Choapas affondò in fiamme nel punto 20°15’ N e 96°20’ O, nei pressi dell’Arroyo González, a nord di Tecotutla (Veracruz), nel Golfo del Messico (quadrante 8299), in vista delle scialuppe della Tuxpan, un’altra petroliera messicana ex italiana (il suo nome originario era Americano) affondata appena due ore prima (la Las Choapas non aveva captato il suo SOS, altrimenti si sarebbe rifugiata nella vicina Veracruz).
Tre dei suoi 31 uomini d’equipaggio (il secondo ufficiale Lucio Gallardo Pavón, il radiotelegrafista José María Figueroa Bravo ed il nostromo Lorenzo Evia Mendoza) persero la vita. I naufraghi di entrambe le cisterne furono soccorsi da una lancia della Petróleos Mexicanos e dal guardacoste G 25.
Las Choapas e Tuxpan furono le prime due navi perdute dal Messico dopo la sua dichiarazione di guerra all’Asse, avvenuta il precedente 22 maggio; casus belli per l’ingresso in guerra era stato proprio l’affondamento di altre due petroliere ex italiane catturate dal Messico, la Faja de Oro (ex Genoano) e la Potrero del Llano (ex Lucifero).
Nel 1952 il governo italiano rimborsò la Società Montecatini per 37.137 dollari, il costo del carico di toluolo e benzolo confiscato dal Messico nell’aprile 1941 a bordo dell’Atlas.
Il relitto di una delle due cisterne affondate il 27 giugno 1942, è stato ritrovato dai subacquei messicani Saúl Meunier ed Alberto Ruiz Gaytán, a nord di Veracruz, nel 2014. Non è chiaro se si tratti della Tuxpan o della Las Choapas.

La nave dopo la cattura da parte del Messico, con il nuovo nome di Las Choapas.


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