martedì 29 settembre 2015

Assunta De Gregori

L'Assunta De Gregori negli anni Trenta (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net

Piroscafo da carico da 4219 tsl, 2633 tsn e 8300 tpl, lungo 121,9 metri, largo 16,2 e pescante 7,25 metri, con velocità 9 o 10 nodi. Appartenente agli armatori De Gregori e Schiaffino di Genova, matricola 1869 al Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata internazionale ICKB.

Breve e parziale cronologia.

28 novembre 1913
Varato nei cantieri Northumberland Shipbuilding Company Ltd. di Hondon on Tyne/Newcastle come Tirreno (numero di cantiere 213).
Febbraio 1914
Completato come Tirreno per la Società Anonima Navigazione a Vapore, con sede a Lussinpiccolo (bandiera austroungarica). Stazza lorda e netta originarie 4285 tsl e 2633 tsn.
1919
A seguito della prima guerra mondiale e dell'annessione di Lussino all'Italia, il Tirreno assume bandiera italiana, mantenendo invariati nome ed armatore.
30 febbraio 1929
Giungendo a Hull proveniente da Rosario (da dov’è partito il 22 febbraio), il Tirreno vi porta alcuni ratti ammalati di peste: cinque di essi vengono trovati morti tra i sacchi di grano durante lo scarico. Si procede alla disinfezione con acido cianidrico. In aprile si scoprirà che i ratti ammalati ne hanno contagiati altri nella popolazione locale; il contagio non si estenderà però alle persone.
1933
Acquistato dalla Società Anonima di Navigazione «Assunta De Gregori» (Società di Navigazione De Gregori & Schiaffino), con sede a Genova, e ribattezzato Assunta De Gregori.
10 giugno 1940
L'Italia entra nella seconda guerra mondiale. L'Assunta De Gregori non verrà mai requisito dalla Regia Marina, tanto meno iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
1° giugno 1941
Alle 10.12 l'Assunta De Gregori viene avvistato in posizione 39°11' N e 09°43' E, al largo di Capo Ferrato, dal sommergibile britannico Clyde (capitano di fregata David Caldicott Ingram). Il sommergibile accosta per avvicinarsi, ed alle 10.49 lancia tre siluri da 4100 metri di distanza, dopo di che vira verso nord per allontanarsi, essendoci un aereo in pattugliamento nelle vicinanze. Il velivolo, un idrovolante CANT Z. 501 della 188a Squadriglia pilotato dal tenente Gino Visentini Scarzanella e con a bordo il sottotenente di vascello Federico D'Andrea come osservatore, è decollato in seguito all’affondamento del piroscafo San Marco, affondato poche ore prima proprio dal Clyde; avvistate le scie dei siluri, attacca il sommergibile sganciando due bombe di profondità, che non colpiscono. L'Assunta De Gregori sfugge indenne all’attacco.
2-3 marzo 1942
L'Assunta De Gregori si trova ormeggiato a Palermo quando il porto e la città vengono sottoposti ad un pesante bombardamento aereo britannico, iniziato alle 22.29 del 2 marzo e terminato alle 4.45 del 3 marzo. Tra le navi ormeggiate in porto vi sono i cacciatorpediniere FrecciaFolgore, Saetta, Strale, Ugolino Vivaldi, Lanzerotto MalocelloAviere e Camicia Nera, le torpediniere Partenope e Giuseppe Cesare Abba e numerose navi mercantili, tra cui la motonave tedesca Cuma, il cui carico comprende 480 tonnellate di benzina nonché carri armati, bombe d’aereo, fusti di benzina, parti di ricambio, automezzi e munizioni.
Questo bombardamento, il più violento tra quelli subiti da Palermo tra la fine del 1941 e gli inizi del 1943 (quando l'arrivo dell'USAAF segnerà l’inizio di un crescendo di morte e distruzione senza precedenti), è stato deciso dai britannici dopo che un volo di ricognizione condotto il 2 marzo dal capitano Adrian Warburton – uno dei più celebri piloti della RAF di base a Malta – ha rilevato la presenza in porto di alcune grosse navi mercantili cariche, presumibilmente, di rifornimenti diretti in Nordafrica. Warburton, che ha compiuto il suo volo tra le 13 e le 13.45 a bordo di un Bristol Beaufighter del 22nd Squadron del Coastal Command della RAF (in precedenza, il mattino 1° marzo, già un altro Beaufighter aveva compiuto un primo volo di ricognizione su Palermo, senza incontrare opposizione; Warburton è invece stato bersagliato per alcuni minuti dalla contraerea, ma non ha subito danni ed è riuscito anche a sfuggire al caccia mandato ad intercettarlo), ha scattato varie foto del porto e delle navi presenti, e dopo averle esaminate i Comandi di Malta hanno pianificato una missione di entità considerevole in rapporto alle magre forze aeree stanziate a Malta in quel periodo (l’isola si trova infatti sotto pesantissimo martellamento da parte dei bombardieri dell’Asse, che ne riducono fortemente le capacità offensive). Per attaccare Palermo sono decollati dalla base maltese di Luqa 16 bimotori Vickers Wellington del 37th Squadron della Royal Air Force, i quali, privi di scorta di caccia, conducono l'attacco in due ondate, da una quota di 3000 metri, provenendo dal mare.
L'allarme aereo viene dato alle 21 (secondo altra fonte, invece, alle 22.30); al rumore degli aerei in avvicinamento segue l’apertura di un fitto fuoco di sbarramento da parte delle mitragliere poste a difesa del porto, che faranno fuoco senza interruzione fino alla fine dell’incursione. Entrano in funzione anche gli apparati nebbiogeni, che avvolgono il porto in una fitta cortina di nebbia artificiale per impedire agli aerei di individuare i bersagli.
La prima ondata, di dieci aerei, arriva su Palermo alle 22.35 del 2 marzo (secondo altra fonte, poco prima di mezzanotte) e sgancia 26 bombe sull’area portuale, per un totale di 27 tonnellate di esplosivo: i bombardieri attaccano singolarmente od in coppia, ad intervalli di una decina di minuti l'uno dall'altro, sorvolando il porto da nord verso sud. A dispetto dell'attivazione degli apparati nebbiogeni, i Wellington, al terzo passaggio, colpiscono a poppa la Cuma, ancorata alla testata del Molo Nord: la nave prende fuoco, illuminando il porto con i bagliori del suo incendio. Dopo aver colpito il porto, i dieci Wellington lanciano un’altra sessantina tra bombe dirompenti e spezzoni incendiari sulla città.
Gli incendi scatenati dalle ondate precedenti, e specialmente quello che divampa sulla Cuma, permettono ora ai bombardieri di individuare gli obiettivi con maggiore facilità, a dispetto della nebbia artificiale; come se non bastasse, sulla Cuma stanno iniziando a scoppiare anche munizioni di maggiore potenza, e si teme che l’intero, pericolosissimo carico della motonave tedesca possa saltare in aria con conseguenze disastrose per il porto e le navi ormeggiate nei pressi. La motonave Gino Allegri, che è la più vicina ed è anch’essa carica di munizioni, molla gli ormeggi e manovra per allontanarsi.
La prima ondata termina il suo attacco alle due di notte del 3 marzo, e già alle 2.14 arriva la seconda, composta da sei Wellington, che sganciano un'altra cinquantina di bombe. Alle quattro del mattino viene centrato ed affondato il piroscafo Le Tre Marie. Nonostante il violento e continuo tiro da parte sia della contraerea di terra che delle armi contraeree delle navi da guerra presenti in porto, nessuno dei Wellington viene abbattuto; ed a dispetto della vicinanza della base aerea di Boccadifalco, nessun caccia italiano o tedesco decolla per tentare il contrattacco.
Il bombardamento ha termine alle 5.50, ma con esso non cessa il pericolo: sulla Cuma le fiamme divampano incontrollabili, minacciando di causare l’esplosione del carico. La catastrofe tanto temuta si verifica infine alle 7.25: mentre è in corso il salvataggio dei marinai gettatisi nelle acque del porto e lo spostamento dell'Allegri, ormeggiata pericolosamente vicino alla Cuma, la nave tedesca erompe in una colossale esplosione, danneggiando le altre navi ormeggiate nei suoi pressi e lanciando rottami metallici di ogni dimensione – alcuni grandi anche diversi metri quadrati – a distanza anche di due chilometri, fino al Foro Italico ed a Piazza Politeama. Un'enorme onda di fuoco, alimentata dal carburante sparsosi sulla superficie del mare, avanza minacciosamente verso le altre navi ormeggiate e verso la città; è l'improvviso cambio di direzione del vento a salvare le altre navi e Palermo stessa da maggiori distruzioni. Per il porto ed il centro abitato, l'esplosione della Cuma è risultata più distruttiva che non il bombardamento stesso.
Le vittime, tra civili e militari, sono diverse decine, soprattutto tra gli equipaggi delle navi presenti nel porto: l'Assunta De Gregori, colpito da schegge, lamenta due morti e dieci feriti tra l'equipaggio. Vi sono inoltre 36 tra morti e dispersi a bordo della Gino Allegri, 19 morti e 10 feriti sulla torpediniera Partenope (colpita da bombe mentre è in bacino di carenaggio), un morto e cinque feriti sul cacciatorpediniere Freccia (sforacchiato da innumerevoli schegge), alcuni feriti sul cacciatorpediniere Folgore (che subisce danni da schegge alle sovrastrutture) e sulla nave officina Antonio Pacinotti (anch'essa lievemente danneggiata da schegge), oltre ad un imprecisato numero di vittime tra l'equipaggio della Cuma. In totale i feriti tra i militari sono 127; tra la popolazione civile palermitana, le vittime sono 6 ed i feriti 108.
Le navi affondate sono quattro, tutte tra quelle che erano ormeggiate alla testata del Molo Nord: la Cuma (completamente distrutta, ovviamente), i piroscafi Securitas e Le Tre Marie (entrambi successivamente recuperati e riparati) e la piccola nave cisterna Tricolore (anch'essa poi recuperata), oltre alla bettolina militare G.R. 42. Oltre alle navi citate più sopra, subiscono danni i piroscafi tedeschi Salvador e Ruhr, il cacciatorpediniere Strale, la torpediniera Giuseppe Cesare Abba e la cisterna militare Marte, che tuttavia non lamentano perdite tra gli equipaggi, ed altre 28 imbarcazioni di ogni tipo e dimensioni.
A terra, Villa Lampedusa, l'Opera Pia Collegio di Maria Immacolata al Borgo, lo scalo d'alaggio Sicari, uno stabilimento per la lavorazione del sommacco e numerose abitazioni (nelle vie XX Settembre, Siracusa, Trapani, dello Speziale, Collegio, Ruffino, Vicolo della Cera, E. Amari, La Marmora, Vicolo Fiammetta al Borgo) sono danneggiate o distrutte dalle bombe; ben 85 edifici lamentano danni di varia entità per effetto dell'esplosione della Cuma (tra gli altri, un edificio viene gravemente danneggiato da una lamiera del peso di 400 kg), che ha inoltre scardinato migliaia di infissi in tutta la città e provocato alcune vittime anche a terra. I Vigili del Fuoco eseguiranno ben 147 interventi.
16 marzo 1942
Dopo aver caricato 7000 tonnellate di carbone, l'Assunta De Gregori salpa da Palermo per Tripoli alle 2.30, scortato dal cacciatorpediniere Premuda (caposcorta, capitano di fregata Mario Bartalesi) con il rinforzo, dopo Trapani, della torpediniera Castore. Il convoglio imbocca la rotta del Canale di Sicilia. Il tutto avviene nell'ambito della più vasta operazione di traffico «Sirio».
19 marzo 1942
Giunge a Tripoli alle 7.30.
8 aprile 1942
Lascia Tripoli alle otto, diretto a Sfax con la scorta della vecchia torpediniera Generale Marcello Prestinari.
9 aprile 1942
Arriva a Sfax alle 7.30. Qui inizia a caricare fosfati per l'industria italiana; le operazioni di caricamento procedono a rilento, causa la scarsa collaborazione delle locali autorità portuali francesi.

L'affondamento

L'imbarco del carico di fosfati nel porto di Sfax richiese ben dieci giorni: giunto nel porto tunisino il 9 aprile, l'Assunta De Gregori ne poté ripartire solo alle dieci del mattino del 19, diretto a Napoli al comando del capitano di lungo corso Francesco Schiaffino. La scorta era costituita dalla torpediniera Castore (capitano di corvetta Gaspare Tezel), inviata da Tripoli - da dov'era salpata all'alba di quello stesso giorno per raggiungere il mercantile in uscita da Sfax -, oltre che da due aerei; la Castore procedeva in testa, seguita dall'Assunta De Gregori.
Il viaggio del piroscafo s'interruppe però solo poche ore dopo la partenza: alle 15.50 dello stesso 19 aprile, infatti, il sommergibile britannico P 35 (poi divenuto Umbra; lo comandava il tenente di vascello Stephen Lynch Conway Maydon) avvistò l'Assunta De Gregori che si avvicinava da sud, e virò in modo da intercettarlo. Alle 15.57 il battello britannico avvistò anche la Castore e due aerei di scorta, e stimò correttamente la stazza del mercantile in 4000-5000 tsl; iniziò la manovra di attacco, ed alle 16.43 lanciò due siluri da un migliaio di metri, contro l'Assunta De Gregori.
Benché la Castore fosse munita di ecogoniometro e si trovasse a proravia del piroscafo, non rilevò il sommergibile avversario, e non avvistò nemmeno le scie dei siluri: sulla torpediniera ci si rese conto di quanto stava accadendo solo quando l'Assunta De Gregori venne centrato da entrambi i siluri e si spezzò in due.
Il troncone poppiero affondò subito, in posizione verticale; pochi minuti dopo lo seguì quello prodiero. La posizione registrata era 34°55' N e 11°42' E secondo la Castore, 35°23' N e 11°23' E secondo il P 35; al largo della boa numero 1 delle Kerkennah, una ventina di miglia ad est-sud-est di Mahdia.
 
La Castore, dopo aver lanciato due bombe di profondità a scopo intimidatorio, trasse in salvo i 35 sopravvissuti, ma altri 18 uomini risultarono dispersi, secondo il volume USMM "La difesa del traffico con l'Africa Settentrionale dal 1° ottobre 1941 al 30 settembre 1942". Un documento della Regia Capitaneria di Porto di Palermo datato 21 aprile 1942, che cita le dichiarazioni del direttore di macchina e del nostromo dell'Assunta De Gregori, Antonio Niederbaker e Carlo Stagnaro, traccia invece un bilancio più pesante: nell'affondamento sarebbero morti 17 membri dell'equipaggio civile, tra cui il comandante Schiaffino, due dei nove militari della Regia Marina addetti all'armamento difensivo e sette od otto militari del Regio Esercito su un totale di 21 o 22 presenti a bordo (tra cui un sottotenente d'artiglieria, unico ufficiale; in 14 si erano salvati). Le vittime sarebbero dunque state, in tutto, 26 o 27.
La Castore sbarcò i naufraghi a Palermo.

Le vittime tra l'equipaggio civile
(si ringrazia Michele Strazzeri)

Saverio Bonura, fuochista
Antonino Ceropani (o Cerapani), carbonaio
Matteo Cinà, fuochista
Marzio Mazzei (o Massei), capo fuochista
Martino Messano (o Mezzano), secondo ufficiale di macchina 
Domenico Milone, fuochista
Nicola Puccioni, pennese
Alfredo Pacciani, primo ufficiale di macchina
Annibale Paccini, fuochista
Pasquale Perino, giovanotto
Giuseppe Piliego, giovanotto
Francesco Schiaffino, comandante
Stefano Scimone, cuoco
Ercole Scita (o Seita), primo ufficiale
Francesco Sicari, carbonaio
Antonino Trapani, carbonaio
Umberto Umetto, carbonaio 

Le vittime tra il personale della Regia Marina:

Antonio Basile, sergente cannoniere, da Pulsano
Vito Curiale, marinaio cannoniere, da Catania

Non è stato finora possibile rintracciare i nomi dei militari dell'Esercito morti nell'affondamento.

 
Trascrizione del verbale di scomparizione in mare dei marittimi dell'Assunta De Gregori nei registri degli atti di morte del Comune di Palermo (g.c. Michele Strazzeri)
 

I comandi della Marina italiana attribuirono la perdita della nave all’eccessiva lunghezza della sua sosta nel porto di Sfax, che – si riteneva – aveva dato ad eventuali informatori nemici, presenti in quel sorgitore, il tempo di raccogliere e trasmettere informazioni sulla sua presenza e circa la sua futura partenza; già in passato Supermarina aveva fatto presente al Comando Supremo la pericolosità di Sfax sotto questo aspetto, ma non potendo rinunciare a quel porto, indispensabile per i carichi di fosfati, si decise quanto meno di abbreviare la durata delle soste in porto dei mercantili e di fare in modo che il loro arrivo a Sfax giungesse senza preavviso, oltre a stabilire che le navi destinate a scortarli fossero sempre munite di ecogoniometro (gli affondamenti erano infatti stati sempre causati da sommergibili: l'ecogoniometro della Castore, d'altra parte, non era servito a salvare l'Assunta De Gregori).
In realtà, l'affondamento dell'Assunta De Gregori non fu dovuto all’operato di spie infiltrate a Sfax quanto piuttosto a quello dei decrittatori di “ULTRA”. Sin dal 16 aprile, questi ultimi avevano potuto ricavare la notizia che il piroscafo sarebbe partito da Sfax per Napoli alle cinque del 18, scortato da una torpediniera proveniente da Tripoli. Dopo aver ribadito tale informazione il 17, il 18 “ULTRA” si corresse, posticipando la data di partenza di un giorno ma confermando l’orario ed i porti di partenza e di arrivo, oltre a precisare il carico (fosfati) ed il nome della torpediniera assegnata alla scorta (Castore). L’ultimo dispaccio di “ULTRA”, inviato il 19 aprile, aveva confermato quanto detto il giorno precedente; poi era toccato al P 35, avvisato di attendere l'arrivo di una nave diretta verso nord.


L'affondamento dell'Assunta De Gregori nel giornale di bordo del P 35 (da Uboat.net):
 
"1550 hours - Sighted a merchant ship approaching from the Southward. Altered course to intercept.
1557 hours - Sighted a Spica class torpedo boat escorting the merchant vessel of about 4000 to 5000 tons. Also two aircraft were patrolling the area. Started attack.
1643 hours - In position 35°23'N, 11°23'E fired two torpedoes at the merchant vessel from 1100 yards. Both torpedoes hit the target. The torpedo boat dropped only 2 depth charges which caused no damage to P 35.
1730 hours - Returned to periscope depth. Saw the torpedo boat laying stopped to pick up the survivors of the merchant ship".
 
Il piroscafo quando portava il nome di Tirreno (da www.marina-mercantile-italiana.net