sabato 31 ottobre 2015

Traviata

Il Traviata a Genova (g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net

Piroscafo da carico da 5123 tsl e 3171 tsn, lungo 125,9 metri, largo 15,9 e pescante 8,8. Appartenente alla Società Anonima Industria Navale (INSA) con sede a Genova, matricola 1796 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

22 gennaio 1920
Varato come Bolivier nello scalo South Dock del cantiere Bartram & Sons Limited di Sunderland (numero di costruzione 250). Si tratta di una nave da carico standard del tipo “B”.
31 marzo 1920
Completato per il per il Lloyd Royal Belge di Anversa. Stazza lorda originaria 5045 o 4953 tsl.
1930
Trasferito alla Compagnie Maritime Belge S. A. di Anversa.
19 settembre 1932
Acquistato dalle Industrie Navali Società Anonima (INSA) di Genova, e ribattezzato Traviata.
Febbraio 1937
Durante la guerra civile spagnola, compie un viaggio per conto delle Ferrovie dello Stato, trasportando truppe e materiali del Corpo Truppe Volontarie. La nave (come altri trenta piroscafi), non essendovi grande disponibilità di mercantili noleggiabili per trasportare rifornimenti, effettua il trasporto in Spagna nel corso di un viaggio di andata, altrimenti scarica, verso l’Europa settentrionale: parte dall’Italia, scarica i rifornimenti in Spagna e prosegue in zavorra sino in Nordeuropa, dove imbarca carbone per conto dell’Azienda Monopolio Carboni. Per il viaggio sino in Spagna, vengono imbarcati alcuni uomini della Regia Marina per mantenere le comunicazioni e compiere le segnalazioni, ed il comando della nave viene assunto da un ufficiale di Marina; i piroscafi compiono il viaggio da soli od a coppie, con la scorta di incrociatori leggeri o cacciatorpediniere della II Squadra sino al meridiano di Malaga od allo stretto di Gibilterra, poi di navi da guerra del gruppo «Quarto» (esploratori Quarto ed Aquila, torpediniera Audace) basate a Tangeri, che vigilano sulle rotte di accesso a Cadice.
13 settembre 1939
Il Traviata s’imbatte in una lancia con dodici superstiti (al comando del terzo ufficiale) del piroscafo britannico Manaar, affondato una settimana prima dal sommergibile tedesco U 38 nel punto 38°28’ N e 10°50’ O, e ne recupera gli occupanti, che sbarca a Cardiff.

L’affondamento

Il Traviata fu uno degli otto mercantili italiani che andarono perduti tra il settembre 1939 ed il maggio 1940, quando l’Europa era già in guerra ma l’Italia era ancora neutrale.
Nel gennaio 1940 il piroscafo, al comando del capitano Carmelo Midolo, era in navigazione in zavorra da Bagnoli a Newcastle per caricare carbone, scopo per il quale era stato noleggiato dalle Ferrovie dello Stato. Per evitare i pericoli della navigazione notturna, il comandante Midolo, la sera del 10 gennaio, fece dare fondo in una piccola baia della costa britannica, che offrì riparo per la notte. Era ormai divenuto noto, tra i marittimi di tutto il mondo, il grave pericolo rappresentato dalle mine magnetiche posate dalle navi da guerra tedesche lungo le coste orientali della Gran Bretagna: su di esse erano già saltate navi di ogni nazionalità, tra cui le italiane Grazia e Comitas. L’ammiragliato britannico aveva raccomandato una rotta (nella fascia compresa tra la costa ed i campi minati difensivi che la stessa Marina britannica aveva posato per impedire ulteriori incursioni di U-Boote e posamine tedeschi nelle acque costiere) che si riteneva relativamente sicura dalle mine; il capitano Midolo intendeva individuarla il giorno seguente, con la luce del sole.
Dopo la sosta notturna, il Traviata ripartì all’alba dell’11 gennaio 1940, con rotta sud; a bordo, per la navigazione in quelle acque difficili, vi era un pilota inglese in aggiunta ai 29 uomini dell’equipaggio.
Per qualche ora la navigazione proseguì tranquilla, ma alle 10.20 esatte il piroscafo, poche miglia al largo di Cromer, fu scosso da una violentissima esplosione, che sollevò la nave dal mare e ne squassò la prua: la nave aveva urtato una mina tra le stive 1 e 2. La violenza dello scoppio lanciò in aria diversi uomini, tra cui il pilota britannico, che rimase ferito; si ruppe una tubatura del vapore e dalla falla l’acqua iniziò a riversarsi, oltre che nelle stive prodiere, anche in sala macchine. A seguito dell’esplosione si sviluppò anche in incendio, che avvolse il Traviata a centro nave. Il direttore di macchina tentò in ogni modo di fermare le macchine ed arrestare l’emissione del vapore, ma dovette infine abbandonare la sala macchine con i suoi uomini, per ordine del comandante Midolo, per non morire soffocato. Fortunatamente, le macchine si arrestarono da sole poco più tardi.
Lo scossone era stato tanto violento da mettere fuori uso anche l’apparato radiotelegrafico: il bastimento in agonia, pertanto, era impossibilitato anche a chiedere aiuto. Non restava che aspettare e sperare.
Per fortuna dell’equipaggio del Traviata, si trovava a passare a sole tre miglia di distanza un altro piroscafo italiano: il Marte, anch’esso in navigazione a noleggio delle Ferrovie dello Stato per caricare carbone. Questi, notata la situazione di pericolo in cui versava la nave connazionale, le si diresse incontro, e avvertì via radio le autorità britanniche.
Al contempo anche gli abitanti di Cromer si erano accorti dell’accaduto: il boato dell’esplosione era stato avvertito fino a terra, e la gente del posto, affollatasi sulla riva, aveva messo a mare una motobarca da salvataggio (la «Cromer Lifeboat Number 1»), che aveva già avuto modo di effettuare innumerevoli interventi del genere: due nei due giorni precedenti, 150 naufraghi in tutto salvati dall’inizio della guerra.
L’equipaggio del Traviata, divenuti incontrollabili l’allagamento causato dalla falla e l’incendio a bordo, abbandonò la nave su una lancia, i cui occupanti furono presi a bordo dal Marte. La motobarca di Cromer, giunta sul posto alle 16, imbarcò poi una dozzina dei naufraghi. Il Marte tentò di arginare le fiamme sul Traviata mediante getti di acqua, ma ciò non bastò a fermare l’incendio. Mentre anche i restanti naufraghi venivano trasbordati dal Marte sulla motobarca di Cromer, i marittimi italiani furono spettatori di un altro episodio di guerra: un velivolo tedesco Heinkel (che in precedenza aveva sorvolato anche il Traviata, tanto da attirarsi cenni di saluto da parte del suo equipaggio, che lo aveva scambiato per un aereo di soccorso britannico), prima di essere messo in fuga da tre caccia della RAF, attaccò, mitragliò e bombardò (ma le quattro bombe sganciate non colpirono) il piropeschereccio Holyrood a circa un miglio di distanza, ferendone il comandante. La motobarca che aveva imbarcato l’equipaggio del Traviata, pertanto, diresse incontro al peschereccio danneggiato e lo prese a rimorchio; così, carica di superstiti italiani e rimorchiando l’Holyrood, la motobarca fece ritorno a Cromer. Dopo forse cinque ore di agonia, calata già l’oscurità, il Traviata scivolò sotto le onde: il suo equipaggio, da bordo della motobarca britannica, vide da lontano il punto rosso dell’incendio, che balenava all’orizzonte, sparire definitivamente nel buio. La posizione dell’affondamento venne indicata in otto miglia per 135° da (a sudest di) Cromer Knoll.

Dopo aver assistito alla scomparsa del Traviata da bordo dei mezzi soccorritrici,
Non vi furono vittime tra i 29 uomini dell’equipaggio del Traviata; l’unico ferito, con poco più che delle contusioni, fu il fuochista Pasquale Lena, oltre al pilota britannico, anch’egli ferito sono in modo leggero.

L’equipaggio del Traviata, giunto a terra a Cromer, venne dapprima assistito da un’associazione britannica per l’assistenza ai naufraghi e poi ospitato al «Circolo del Littorio» del Fascio di Londra. Da qui i marittimi del Traviata, meno Pasquale Lena, che rimase ricoverato a Londra per qualche settimana per le ferite riportate ad un piede, ripartirono alle 19 del 17 gennaio, attraversando di nuovo (con un rischioso viaggio notturno durato otto ore) le acque della Manica che avevano appena inghiottito la loro nave, poi salendo a Le Havre sul treno per Parigi, dove arrivarono alle 15 del 18 per poi ripartire in serata diretti a Modane. L’equipaggio del piroscafo arrivò finalmente a Torino, nella stazione di Porta Nuova, alle 14.20 del 19 gennaio, accolto (oltre che da sorella e nipotino del comandante Midolo) dal capitano Mario Questa, ispettore dell’INSA mandato appositamente da Genova, che aveva già provveduto a far apparecchiare per gli affamati marittimi i tavoli del ristorante della stazione. Verso le 17 l’equipaggio del Traviata lasciò Torino per rientrare a Genova, ultima tappa del suo viaggio, dove arrivò (nella stazione Principe) la sera del 20 gennaio, ricevuto dal direttore della INSA, dal capo della Delegazione della Gente di Mare, da rappresentanti della Federazione Marinara e dalle famiglie dei marittimi. L’avventura degli uomini del Traviata fu conclusa dall’interrogatorio di rito da parte della Capitaneria di Genova, espletata il 21 gennaio.

Le mine che avevano affondato il Traviata erano state posate dai cacciatorpediniere tedeschi Bruno Heinemann, Wolfgang Zenker ed Erich Koellner, della 4. Flottille (capitano di vascello Bey), nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1940.

Il relitto del Traviata giace oggi ad una profondità compresa tra i 16,9 ed i 20 metri.

L’equipaggio del Traviata appena giunto a Genova (Archivio La Stampa)



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