Il 2 gennaio 1941, alle
sette del mattino, il piroscafo da carico Albano
(2364 tsl, costruito nel 1918), della Società Anonima di Navigazione Adriatica
di Venezia, in regime di requisizione per la Regia Marina, partì da Durazzo
diretto a Valona in convoglio con il piroscafo Caterina (le due navi viaggiavano scariche) e con la scorta della
torpediniera Aretusa. Il convoglio
procedeva in linea di fila, l’Aretusa
in testa, seguita dall’Albano, con il
Caterina in coda. Il mare era grosso,
con vento testo di ostro e libeccio. Nel pomeriggio l’Albano (al comando del capitano Edoardo Di Seneca) urtò una mina
appartenente ad uno sbarramento difensivo italiano (per un errore di rotta e
per la mancata conoscenza della posizione del campo minato da parte dell’Aretusa) e (secondo “Navi Mercantili
Perdute” e “La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo”) affondò
alle 15.45 in
posizione 41°10’ N e 19°24’ E (al largo di Capo Laghi, a circa 40 miglia da Valona).
Secondo il resoconto del primo ufficiale Eugenio Wengersin alla commissione
d’inchiesta, invece, la nave urtò una mina a 10 miglia da Durazzo alle 15.49:
lo scoppio, percepito come uno schianto forte e sordo seguito da una colonna
d’acqua nerastra, avvenne sul lato sinistro in corrispondenza del carbonile
localizzato a mezza nave, scagliò violentemente uomini ed oggetti (il primo
ufficiale Wengersin fu lanciato contro il soffitto) e devastò la zona della
plancia. La lancia di sinistra, nel tentativo di calarla, si sganciò dai
paranchi e si capovolse, mentre quella di dritta poté essere calata, e vi
presero posto 19 uomini (tra cui il primo ufficiale Wengersin); il comandante Di Seneca, che aveva diretto la messa a
mare delle lance, nel calarsi dal paranco sulla scialuppa di sinistra cadde in
acque e rimase ucciso battendo violentemente la testa contro la lancia. Gli
uomini sull’imbarcazione non poterono che tirarne a bordo la salma, poi
tentarono inutilmente di trovare altri naufraghi. L’Albano si era spezzato in due tronconi, la prua ed il troncone
costituito da centro nave e poppa, dove l’elica stava ancora girando qualche
tempo dopo che l’equipaggio aveva abbandonato la nave. I due tronconi
affondarono lentamente. Si fece notte, pertanto i superstiti sulla lancia
accesero due razzi per rendersi visibili all’Aretusa, che dopo un po’, infatti, sopraggiunse e li prese a bordo.
Delle 40 persone a bordo dell’Albano
(35 di equipaggio civile e 5 militari di scorta) cinque erano rimaste uccise e
quattro ferite; la torpediniera recuperò tutti i 35 superstiti e prese a
rimorchio la scialuppa avente a bordo la salma del comandante Di Seneca, che
finì però alla deriva a causa della rottura del cavo. L’Aretusa sbarcò i naufraghi a Durazzo, dove vennero portati
nell’ospedale militare del locale Comando Marina. Il mattino successivo
anche la scialuppa con il corpo del comandante Di Seneca giunse a riva a
Durazzo, dove venne portata in secca.
Le vittime
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